«Be', penso che possiamo limitare il secondo livello a un elemento dell'FBI e a uno della DEA. Informarli di tutto, tranne che del fatto che Lei non ha preso le capsule.»

«Perché anche la DEA?»

«Per il collegamento con la droga. Avremo bisogno di un po' di informazioni su chi potrebbe stare dietro questo piano. E forse occorrerà anche rivolgersi alla CIA...»

«Santo cielo, perché?»

«Il provider anonimo del Regno Unito. Se lo identificassimo potremmo risalire, attraverso il suo computer, fino a questo Snake.»

«Bene. Ma tienili all'oscuro il più possibile. Hai già qualcuno in mente, per il secondo livello?»

«Sissignore. Gerry Canney del Bureau. Ha aiutato a risolvere il caso Duncan Latham, se ricorda.»

Rasoio fece un sorriso mortificato. «Come posso dimenticarlo?»

«Ha appena avuto la promozione a un posto di supervisore. È onesto e in gamba. E sa anche tenere la bocca chiusa.»

«Perfetto. E della DEA?»

«Ho qualche possibilità di scelta. Pensavo a Dan Keane. Fa parte dell'ufficio di Washington.»

«So chi è. Un brav'uomo.»

«Lo conosco da anni e non riesco a pensare a nessuno che conosca il mondo della droga e non possa soffrire i narcotrafficanti più di lui.»

«Bene. Canney e Keane. Mandali a chiamare. Voglio parlare con loro personalmente. Voglio chiarire loro che anche se i sequestri di persona riguardano l'FBI e i narcotrafficanti la DEA, di questa faccenda te ne occupi tu. Non voglio liti intestine fra gli enti governativi. Voglio che lo sentano dalla mia stessa bocca prima che io vada a Bethesda.»

Decker dovette ammirare il modo in cui Rasoio comprendeva tutti i problemi pratici che avrebbe dovuto affrontare la miniunità operativa. Ricordò i litigi fra il ministero della Giustizia e quello del Tesoro nel 1994, quando qualcuno aveva sparato a casaccio dei colpi contro la Casa Bianca. Le manovre per avere il controllo della situazione tra i Servizi segreti, l'FBI e l'ATF erano stati molto imbarazzanti.

Ma se il capo avesse indicato chiaramente sin dall'inizio la gerarchia di comando, Decker era sicuro che tutta l'operazione sarebbe filata liscia. «Quando andrà dentro?»

«Nel pomeriggio, subito dopo avere incontrato la tua squadra.» Abbassò la voce. «Trova una soluzione, Bob, entro martedì, perché quel giorno partirò per l'Aia, per andare al congresso sulla droga, e partirò comunque.»

Decker deglutì. Si sentiva come se l'avessero preso a pugni. «In tre giorni, signore? Non me ne concede molto, di tempo. Non possiamo...»

«È tutto quello che mi è consentito. Voglio bene a John. È il migliore amico che abbia mai avuto. E voglio bene a sua figlia come alla mia. Diavolo, sono il suo padrino. Ma sono anche l'uomo che detiene questa carica. In quanto Presidente, non posso farmi influenzare dal terrore e dal ricatto, e di certo non permetterò che qualche schifoso sedicente signore della droga determini la politica degli Stati Uniti. Parto per l'Aia martedì, e voglio salire sull'Air Force One sapendo che Katie VanDuyne è tornata da suo padre. Sono stato chiaro, Bob?»

«Perfettamente, signore.»

«Allora muoviamoci,»

Uscendo dalla Sala Ovale e affrettandosi a scendere nel W-16, Bob Decker sentì che le budella gli si contorcevano. Martedì! Come diavolo avrebbe potuto portare a termine quell'operazione in tre giorni?

 

4

 

Ho parlato di cose pratiche, ma lasciatemi fare una considerazione filosofica, per un momento. Siamo tutti d'accordo che ognuno di noi è proprietario del suo corpo? Mi sembra la pietra miliare di tutti i diritti umani. Se concordiamo su questo, che cosa dà a un'altra persona il diritto di stabilire quali sostanze, cibo, bevande o qualsiasi altra cosa, si possono introdurre nel proprio corpo? È una decisione personale, che dovete prendere voi. E se una persona non ha il diritto di stabilirlo, non l'hanno nemmeno due... dieci, cento, un milione o cento milioni. Si tratta sempre del vostro corpo. Personalmente credo che assumere droghe sia una cosa molto stupida, ma credo anche che sia un diritto degli esseri umani.

 

Paulie abbassò il volume della radio. Aveva udito ridacchiare la bambina, in soggiorno?

Piegò all'indietro la sedia e sporse la testa oltre lo stipite della porta della cucina, per dare una sbirciata. Una scena molto strana: Poppy aveva la maschera di Minnie e la bimba una benda finta al piede, e tutt'e due giocavano a sul divano.

Era andato in cucina per liberarsi di quella maledetta maschera di Topolino che doveva portare in presenza della bambina. Forse non era poi indispensabile, dato che l'aveva già visto nelle vesti di autista della limousine e aveva ancora la barba, che si sarebbe tagliato non appena quella faccenda fosse finita; ma perché rischiare che lo vedesse meglio di quanto non fosse strettamente necessario?

Poppy alzò lo sguardo e lo vide. «Vuoi giocare?»

Con la maschera non le vedeva il viso, ma qualcosa gli diceva che stava sorridendo.

«No, a meno che non passiate al poker.»

«Ehi, potremmo anche», osservò lei. «Te lo faremo sapere.»

Lui fece un largo sorriso e scosse la testa. Il fatto che avesse resistito a Mac aveva rotto il ghiaccio fra di loro. Erano tornati a formare una squadra, ed era bello. Le guardò ancora per un istante. Quando era con la bimba, Poppy sembrava un'altra. Più dolce, più vivace, più felice di quand'era con lui.

E allora che cosa sono, geloso? Forse. L'idea di dividere Poppy con qualcuno, anche per una settimana soltanto, non gli piaceva particolarmente. Ma come poteva essere geloso di una bambina? E poi si trattava di una di quelle cose fra ragazze, come quando due si conoscono è cominciano a condividere tutti quei segreti a proposito di cose che un ragazzo non direbbe mai a uno del suo stesso sesso, nemmeno se lo conoscesse da un milione di anni.

Ma il rapporto tra quelle due sembrava qualcosa di più. Sembrava una faccenda davvero profonda.

Be', di qualunque cosa si trattasse, sarebbe finita in una settimana o poco più, quando la bambina sarebbe tornata dai genitori. E all'improvviso Paulie ebbe un cattivo presentimento sul modo in cui ciò sarebbe avvenuto.

Agitò il braccio sulla soglia e fece un basso fischio. Quando Poppy alzò lo sguardo le chiese: «Puoi venire qui un minuto?»

Poppy annuì da dietro la maschera, poi si rivolse alla bambina. «Torno subito. Tu sta' qui... e non muovere nessuna di quelle pedine.»

La bambina ridacchiò. «Va bene.»

Entrò in cucina e si lasciò cadere sulla sedia di fronte a Paulie, dall'altra parte del tavolo. Si tolse la maschera e si asciugò il viso. Aveva le guance arrossate per il caldo.

«È caldo, qua dentro, vero?» osservò Paulie.

Lei annuì e sorrise. «Che cosa volevi dirmi?»

Paulie esitò, non era sicuro di come fosse meglio dirlo. «Si tratta di te e della bambina.»

«Ha un nome, sai? Puoi chiamarla Katie.»

«Non voglio chiamarla per nome. Non voglio sapere niente di lei.»

«Perché no? È una bambina dolcissima.»

«Sono sicuro di sì, Poppy. E tu ti stai attaccando troppo a lei.»

«Che cosa vuoi dire con 'attaccando troppo'?»

Ah-ah. Si accorse che drizzava la schiena. «Voglio dire...»

«Senti, Paulie, è una bambinetta spaventata. Dev'essere la cosa più brutta che le sia mai capitata. Sto cercando di rendere la situazione il più possibile piacevole per lei, finché si trova qui. Che cosa c'è che non va?»

«Ti stai attaccando a lei.»

«E allora?»

«Troppo. Come se fossi sua madre o qualcosa del genere.»

«Sì, be', non credo che l'abbia, la mamma.»

«Forse è così, ma non puoi pensare che potresti diventarlo tu. Dovrai salutarla la prossima settimana, o al più tardi quella dopo.»

Lei si appoggiò allo schienale a abbassò gli occhi. «Lo so.»

«E se continui così soffrirai, e molto.»

«Andrà tutto bene.»

Paulie non le credette neppure per un attimo. Immaginava Poppy che piangeva, si attaccava alla bambina e non voleva abbandonarla, non voleva lasciarla al posto di riconsegna stabilito. Il rapimento in se stesso era la parte più rischiosa di quei lavori, ma la restituzione del pacco non lo era poi molto meno. Non bisognava che qualcuno si lasciasse prendere dalle emozioni al momento critico.

E a parte quello, non voleva certo vedere Poppy a pezzi dopo la fine di quella faccenda. «Non ne sono sicuro.»

Protese un braccio e le sfiorò una mano. «Vedo già una persona con il cuore infranto, quando si tratterà di dirle addio.»

Lei lo guardò e sorrise. «Andrà tutto bene. Solo non voglio che si impaurisca, ecco tutto.»

Si alzò e girò intorno al tavolo, poi gli si sedette in grembo e lo baciò sulla bocca.

«Questo perché ti preoccupi per me.» Si sistemò la maschera di Minnie e tornò in soggiorno.

Paulie la guardò mentre si sedeva con la bambina e riprendeva la partita. Ebbe una specie di incubo a proposito di Poppy che commetteva una pazzia dopo la fine dell'operazione, come scoprire dove abitava e passare vicino alla casa con l'auto per darle un'occhiata... «Solo per vedere come sta... assicurarmi che stia bene...»

A quel pensiero Paulie rabbrividì. Era un comportamento suicida. E a proposito di desideri suicidi, se Mac fosse entrato proprio il quel momento? Se fosse entrato all'improvviso e avesse visto il pacco slegato, che giocava in soggiorno? Sarebbe andato su tutte le furie. E se avesse scoperto che la bambina aveva ancora tutte le dita dei piedi?

Meglio non pensarci.

Il giorno prima Paulie gli aveva resistito, ma si chiese come avrebbe fatto se Mac fosse diventato violento. E sarebbe accaduto, se avesse scoperto che avevano preso il dito di un altro bambino per usarlo come elemento di persuasione.

Se lo scopre, pensò Paulie a disagio, speriamo che sia molto tempo dopo la fine di questa operazione.

 

5

 

Snake si guardò intorno nell'atrio dello Sheraton. Nessuno che avesse puntato gli occhi sul suo portatile. Rilesse l'ultimo messaggio di posta elettronica di VanDuyne.

 

Fatto. Due capsule di cloramfenicolo da 250 mg somministrate oggi alle 10. Ho fatto la mia parte. Quando riavrò Katie?

 

Somministrate, eh? Molto professionale.

Quando riavrò Katie?

Mai, amico.

Ma non poteva dirlo a VanDuyne.

Mac si guardò di nuovo intorno. Ancora nessuno nei paraggi, quindi richiamò la risposta che aveva già preparato e apportò qualche cambiamento, ma dopotutto sapeva abbastanza bene che cosa dirgli.

 

Ne abbiamo parlato anche prima, ma penso che tu non sia stato ad ascoltare. Quindi lo ripeto. Il momento in cui riavrai tua figlia dipende dalla gravità della malattia del tuo amico. Quanto più si ammala, meglio è. Se torna in attività fra un paio di giorni dovrai fare qualcos'altro. In nessun caso libereremo tua figlia prima di due settimane.

Voglio essere chiaro, in modo che non possano esserci equivoci: vogliamo che quel tizio decada dalla carica. Se non possiamo ottenere questo, vogliamo che rimanga ammalato per molto tempo. Se neanche quello funziona, come minimo vogliamo che non possa andare al vertice sulla droga. In parole semplici, se il tuo amico va a quel vertice non vedrai mai più ciò che resta di tua figlia.

 

Snake sorrise. Gli piaceva soprattutto l'ultima parte, «ciò che resta di tua figlia». Ecco ciò che si definiva «ribadire il concetto».

Caricò il messaggio tramite il sito aperto presso la Delphi a nome di Eric Garter per mandarlo al provider, poi si disinserì. Staccò il computer e telefonò a Salinas.

«Pronto.» La voce di Gold.

Snake non aveva voglia di parlare con quel grassone, quindi perché non far fare a lui la parte del fattorino?

«Di' al tuo capo che la cosa è stata fatta alle dieci di stamattina. Adesso aspettiamo.»

Riattaccò e sorrise. Era una bella sensazione, Voleva ricordare a Salinas che non controllava tutto lui. Snake non era un mercenario ai suoi ordini, era un appaltatore indipendente.

Tastò il sottile rettangolo dell'audiocassetta che portava sempre con sé, nella tasca del giubbotto. Era lei che l'avrebbe aiutato a restare indipendente... e dalla parte giusta del campo.

Uscì dalla parte anteriore dell'albergo e osservò il traffico di mezzogiorno in Connecticut Avenue. Leggero, per essere quello un sabato di sole. Tutti i bravi abitanti dei sobborghi erano probabilmente a casa a curare i giardini e a dare il fertilizzante ai prati.

E adesso che cosa faccio, per il resto della giornata? si domandò. Forse una gita fino a Falls Church, apparentemente per controllare il pacco ma soprattutto per esercitare un po' di pressione su Paulie.

Perché lui era un prezzolato e aveva cominciato a comportarsi come un appaltatore indipendente. Snake era ancora arrabbiato per il giorno prima. Che faccia tosta, dirgli che per quel pacco non avrebbero più dovuto esserci degli elementi di persuasione. Chi diavolo credeva di essere?

Bene... Snake aveva la rivoltella nella Jeep. Poteva essere il momento buono per agitarla sotto il naso di Paulie. Niente spari, niente minacce, solo farla vedere appesa alla cintura, far sapere a tutti e due che era lì, carica e pronta all'uso. Era giunta l'ora di ristabilire la gerarchia.

 

6

 

Attraverso il parabrezza dell'auto a noleggio, Marnie osservava la casa di John. Si sentiva tutta irrigidita e scomoda, per la lunga e attesa, ma poteva valerne la pena, per vedere ancora una volta Katie.

Dov'è mia figlia, John?

Era perplessa. Aveva sorvegliato la casa tutto il pomeriggio del giorno prima e non aveva visto Katie tornare da scuola. Doveva averla fatta sgattaiolare dentro chissà come. E di certo lei aveva accettato volentieri quel sotterfugio. Complottavano sempre, quei due, condividevano segreti a cui non la facevano partecipare.

Non la meriti, John, pensò. Ho più diritti io di te, su di lei. Tu non l'hai portata nel grembo per nove interminabili mesi di nausea e gonfiore. Tu non hai trascorso ore di sofferenza e di urla, per partorirla. Tu non hai dovuto sopportare i chili in eccesso e le brutte smagliature rosse. Tu non hai dovuto restare a casa con lei un giorno dopo l'altro, ad ascoltarne i pianti incessanti.

È mia, me la sono meritata. Non hai nessun diritto di tenermela lontana. E se non fosse stato per i tuoi amici esperti medici e per quel giudice di parte, Katie sarebbe stata affidata a me.

Non vai bene per lei, John, continuò. Sei sempre stato troppo indulgente. Così si può rovinare un bambino. Ha bisogno di me, John, adesso più che mai. So che probabilmente me l'hai messa contro, ma posso invertire le parti. Ho bisogno solo...

Vide arrivare l'auto di John e si accovacciò sul sedile. Dov'era andato? A trovare Katie? A portarla a casa? Con precauzione sollevò la testa e lo guardò voltare nel vialetto di accesso.

 

7

 

John scorse l'auto mentre girava per entrare in casa. Nuova di zecca, bianca. Si ricordava di averla vista parcheggiata all'angolo quando aveva portato a Bob Decker, alla Casa Bianca, il dito del piede di Katie: un viaggio surreale nel traffico del centro, con il mignolino della figlia nel ghiaccio dentro il frigo portatile accanto a sé sul sedile anteriore. Ma a quel punto non aveva quasi più capacità di reazione.

In quel momento credette di vedere la stessa auto parcheggiata dall'altro lato della strada, con almeno una persona a bordo, forse due. L'FBI? I Servizi segreti? Uno dei rapitori? Meglio ignorarlo.

Quando entrò, Nana lo aspettava. Era nell'ingresso, in vestaglia, e aveva un aspetto vecchio e trascurato: non l'aveva mai vista così. Con le dita si pizzicava la gola...

«Qualche notizia?» chiese.

John si era chiesto se comunicare alla madre di avere informato gli enti federali. Infine aveva deciso che si sarebbe solo preoccupata ancora di più per le minacce dei rapitori contro Katie. Quindi, per il momento, avrebbe continuato con la bugia del riscatto.

«Ancora no, ma credo di poter mettere insieme i soldi questo pomeriggio tardi.»

«Oh, grazie al cielo! E allora Katie tornerà a casa?»

«Dopo che li avrò consegnati. Almeno lo spero. Ho seguito le istruzioni alla lettera, ma non mi hanno ancora detto che cosa fare dei soldi.»

«Una somma tanto grande», osservò lei affondando ancora di più le dita. «Come farai a restituirla?»

Lui strinse le spalle e le rispose ciò che avrebbe detto se i rapitori avessero davvero chiesto del denaro. «Adesso non voglio preoccuparmi di quello. Avrò il tempo di farlo dopo che Katie sarà tornata.»

«Sì, sì», assentì lei. «Che Katie ritorni a casa. Adesso dobbiamo preoccuparci di questo.»

Mentre si girava e tornava in cucina con passo strascicato, John entrò nel soggiorno e lanciò un'occhiata fuori da una finestra.

L'auto bianca era ancora dall'altro lato della strada. E all'improvviso sentì il bisogno di vedere chi fossero. Non per parlare con loro, non per affrontarli o sapere il loro nome... solo per vederli.

Attraversò in fretta la cucina, passò davanti alla madre che stava bevendo del caffè e uscì dalla porta sul retro. Tagliò per il cortile dei vicini poi corse davanti e attraversò il viale.

Si trovò sullo stesso lato dell'auto bianca e le si avvicinò da dietro. Sul paraurti posteriore vide l'adesivo di una società di noleggio.

Passò di fianco allo sportello posteriore, a quello anteriore, il sedile a destra era vuoto, al cofano; una rapida occhiata all'indietro e vide...

«Marnie!»

Si lasciò invadere dall'ira. Avrebbe potuto rovinare tutto! Aprì di scatto lo sportello anteriore sinistro. Gli occorse tutta la propria capacità di autocontrollo per non trascinarla fuori dell'auto e strangolarla.

«Che diavolo fai, qui?»

Lei si piegò su se stessa e si portò una mano alla bocca. «John!»

«Che cosa? Dimmelo! Che cosa credi di ottenere, stando qui?»

«John... non sei in te.»

Voleva ribattere. Dirle: dovresti capirlo, sui tutto sul non essere in sé, ma si trattenne. Aveva ragione. Fece un passo indietro e respirò a fondo.

«Va' via.»

«Voglio vedere mia figlia. Non mi permetti di parlarle, quindi ho pensato che se avessi aspettato qui forse l'avrei vista, se non altro di sfuggita.»

«Non è più tua figlia.»

«Sarà sempre mia figlia! E voglio sapere che cosa ne hai fatto!»

«Che cosa ne ho fatto? Che cosa intendi...»

«Ieri Katie non è tornata a casa da scuola. Ero qui a sorvegliare.»

«Oh, no!» Che cosa doveva fare, con quella donna? Avrebbe rovinato tutto.

«Oh, sì! Dove la nascondi? Che cosa ne hai fatto, di mia figlia?»

John non poteva rispondere a quella domanda, non poteva inventare un'altra bugia. La fissò per qualche istante, poi passò all'offensiva.

«La stai spiando, vero?»

Marnie sgranò gli occhi. «Che cosa?»

«Avrei dovuto supporre che avresti fatto una cosa del genere. Stai cercando di rapirla.» Tirò fuori dalla tasca una penna e un foglio. «Be', non la farai franca.»

Si portò dietro l'auto e cominciò a scrivere. Marnie si sporse dallo sportello aperto e lo fissò. «Che cosa credi di fare?»

«Chiamerò l'FBI e darò loro il numero di targa. Riferirò che non solo hai violato un'ordinanza del tribunale ancora pienamente valida che ti ingiunge di stare lontana da tua figlia, ma che hai attraversato alcuni confini tra gli Stati per spiarla e rapirla. Sono reati federali.»

«Stai bluffando.»

«Perché mai dovrei farlo? L'ordinanza del tribunale è reale; ho dei testimoni che tu sei stata qui in agguato. E allora tutti i dottor Schuyler del mondo non saranno in grado di tenerti fuori della prigione.»

Lei storse la bocca in una smorfia. «Figlio di puttana!»

Chiuse di colpo lo sportello, avviò il motore e se ne andò.

John guardò il foglio che aveva in mano. Aveva il numero di targa di Marnie. Perché non dare seguito alle minacce? Darlo a Decker e lasciare che le sguinzagliasse dietro l'FBI. Farla scappare mettendole addosso una fifa blu. La situazione era a un punto delicato. Non avevano certo bisogno di un'incognita come Marnie, che combinasse dei guai e forse finisse con il provocare la morte di Katie.

L'aveva già quasi fatto una volta. Non bisognava dargliene un'altra occasione.

Ma anche se Katie fosse stata in casa al sicuro, insieme a Nana, Marnie avrebbe comunque rappresentato una minaccia. Che diavolo stava combinando, a Washington, innanzitutto?

John si ficcò in tasca il foglio e corse in casa. Sapeva chi avrebbe potuto rispondere a quella domanda. Il dottor William Schuyler di Marietta, in Georgia. Poteva essere anche sabato, e lui poteva avere il fine settimana libero, ma John aveva il numero telefonico di casa. Andò nello studio, chiuse la porta, lo trovò e lo compose.

Rispose la moglie. John borbottò il proprio nome, affermando che aveva urgenza di parlare con Bill. Rimase in attesa, ribollendo, digrignando i denti. Il dottor William Schuyler, uno stronzo pieno di sé che credeva di possedere la bacchetta magica. Nessuno era tanto squilibrato da non reagire alle cure incomparabili del dottor Schuyler.

«Pronto?»

«Sono John VanDuyne.»

«Ah.»

«Sì. Proprio 'ah'. Vuoi sapere chi sta aggirandosi furtivamente nel mio quartiere?»

«Via, John. Aggirarsi furtivamente è un termine così esagerato.»

Il tono mellifluo, la dizione precisa, il comportamento altezzoso. A John tornò tutto in mente in un attimo: lui seduto sul banco dei testimoni, con la testa calva che brillava per le luci sul soffitto, le mani grassocce sul vasto addome mentre sputava fuori le sue inesauribili chiacchiere psicologiche, finché la corte non era stata inondata di parole vuote che a tutti erano sembrate fatti.

«Credi che aggirarsi furtivamente sia un'espressione esagerata? Che cosa ne dici di stare in agguato? Quello è il termine giusto. Sta in agguato per rapire Katie. E afferma che tu hai detto che va bene così.»

«È un'assurdità, John, e tu lo sai benissimo. Le ho detto che la ritengo ristabilita in misura tale che delle visite sotto sorveglianza potrebbero essere benefiche sia alla madre sia alla figlia. Ora, se ha dato a queste parole un'interpretazione scorretta, fino al punto di intendere...»

«Ti copri sempre il culo, eh? Ma questa volta ti sei messo in una posizione pericolosa. Non avevi il diritto di dire una cosa simile a una paziente squilibrata. Dovevi...»

«Squilibrato è un termine tanto...»

«Sta' zitto e ascolta! Conosci i termini dell'accordo. Nessuna accusa penale se ottenevo la custodia esclusiva di Katie e se Marnie si sottoponeva a una psicoterapia intensiva per dieci anni. I patti erano questi. Nessuna incertezza. Per dieci anni non deve avvicinarsi a Katie.»

«Ma è una cosa tanto irragionevole.»

«E rischiare di ammazzare la figlia lo è? Conosci la sua storia quasi altrettanto bene quanto me. Per poco non ha sfondato il cranio di Katie con un attizzatoio. L'ha odiata dal giorno stesso in cui è nata.»

«Odiare è un termine tanto vago...»

«Zitto, accidenti! Perché la odia non lo so, e non lo sai nemmeno tu. Forse non lo sapremo mai. Non m'importa, di saperlo. Mi importa solo di Katie. E se a mia figlia capita qualcosa a causa della tua negligenza, pagherai tu, Schuyler.»

«Se pensi di potermi fare causa...»

«Fare causa?» John sentì la propria risata: un suono orribile. «No, Schuyler, non pagherai con i soldi e nemmeno con la licenza professionale. Pagherai come pagherà Katie. Qualsiasi cosa, qualsiasi cosa capiti a lei capiterà anche a te. Raddoppiata. Capito? Capito?»

Stupefacente. Il dottor William Schuyler era rimasto senza parole.

John riagganciò e fissò i rami degli alberi fuori della finestra. Aveva detto sul serio. Nelle ultime ventiquattr'ore, non sapeva quando, non sapeva come, aveva deciso di dedicare il resto della vita a trovare chi aveva amputato il mignolino di Katie. Immaginava che i federali non avrebbero saputo che pesci pigliare, ma che l'indomabile John VanDuyne in qualche modo li avrebbe rintracciati e messi alle strette... e poi si sarebbe fatto strada fino a loro con una sega in mano.

E avrebbe aggiunto all'elenco lo stimatissimo dottor Bill Schuyler. Se Katie avesse subito danni maggiori a causa di Marnie, avrebbe fatto in modo che lui sperimentasse tutto in prima persona...

John incrociò le braccia sulla scrivania e vi appoggiò sopra la testa. Emise un rumore a metà strada fra una risata e un singhiozzo.

Marnie non è l'unica ad avere bisogno di uno psichiatra.

 

8

 

«Quello che voglio sapere è la ragione per cui questo pazzo va ancora in giro in libertà.»

Bob Decker alzò gli occhi dagli appunti. La domanda l'aveva fatta Dan Keane della DEA. Snello, con i capelli d'argento, sui cinquantacinque; la sua carnagione, solitamente rosea, era diventata progressivamente più pallida mentre Bob procedeva a spiegare la ragione della loro presenza. Era seduto fra Gene Canney dell'FBI, un bell'uomo biondo, e Jim Lewis della CIA, dai capelli rossi un po' radi.

«Per un insieme di ragioni», rispose Bob. «La principale delle quali è che lo vuole il Presidente. L'hai sentito da lui stesso pochi minuti fa.»

Era ancora stupito per essere riuscito a radunare in così poco tempo quella miniunità operativa. Un miracolo che si era in grado di compiere solo se si aveva alle spalle tutta l'autorità del potere esecutivo.

Erano stipati in un ufficio del W 16, il comando dei Servizi segreti proprio sotto la Sala Ovale. Bob aveva abbassato le tapparelle, chiuso a chiave la porta e sistemato nel corridoio due agenti in uniforme con l'ordine di non fare avvicinare nessuno a meno di tre metri dall'uscio.

Aveva ragguagliato la squadra sulla situazione, descrivendo tutto così come era successo. Si era allontanato dai fatti solo quando aveva detto che Rasoio aveva mandato giù le capsule e che VanDuyne aveva confessato, sopraffatto dal rimorso. Poiché era troppo tardi per fare una lavanda gastrica (Bob non sapeva se era vero, ma si aspettava che lo credessero), Rasoio si sarebbe fatto ricoverare in osservazione a Bethesda.

Bob non riteneva necessario ingannare quegli uomini; li conosceva tutti e avrebbe affidato loro la propria vita. Ma Rasoio lo voleva, e così sarebbe stato.

«Le altre ragioni», soggiunse, «sono che VanDuyne è il tramite con chiunque sia dietro a questa faccenda. Abbiamo bisogno che stia fuori, a scambiare messaggi con quei tizi. E la terza è che stiamo cercando di salvare la vita a una ragazzina. Katie VanDuyne è la figlioccia di Rasoio e lui vuole che ciò che ne rimane torni a casa intero.»

Bob considerava l'ultimo obiettivo di scarsa importanza. Lo scopo principale era quello di proteggere Rasoio da qualsiasi attentato.

«Ciò che ne rimane?» chiese Canney.

Bob si voltò e mise il frigo portatile sulla scrivania. «Sì. I rapitori gli hanno mandato un dito del piede della figlia per convincerlo che facevano sul serio. È lì dentro.»

Canney trasalì. La smorfia evidenziò le sottili cicatrici provocate da un incidente d'auto, sei anni prima: Gerry era sopravvissuto, la moglie no. Bob sapeva che aveva una figlia dell'età di Katie VanDuyne.

«Oh, mio Dio», sussurrò Keane. All'improvviso era impallidito e aveva cominciato a sudare. Bob sapeva che aveva dei nipotini; probabilmente stava immaginando uno di loro in una situazione simile.

Solo Jim Lewis non sembrava scosso. Ma era un tipo poco impressionabile.

«Lo porterò al laboratorio al più presto», disse Canney. «Ma che cosa dico? Devo attribuirlo a un caso specifico.»

«Ti darò il numero del caso prima che tu vada via. Rasoio sta parlando con il tuo direttore proprio adesso.»

«Che cosa ti serve, dai miei?» chiese Jim Lewis.

«Quel provider anonimo del Regno Unito.» Bob gli porse una busta. «Le copie di tutta la posta elettronica inviata a VanDuyne. Trovalo, trova chi è Snake e avremo fatto un bel passo avanti.»

«Snake?» chiese Conney. «Hai detto Snake?»

«Ti suona familiare?»

«Sì, l'ho sentito, questo nome, collegato a un paio di sequestri di persona... Credo che in un caso, quando riteneva che le cose non procedessero abbastanza spedite, abbia mandato un dito di un sequestrato.»

«Dev'essere lo stesso tizio.» Bob batté le mani e le sfregò. Era magnifico. La squadra non era costituita neanche da mezz'ora e stava già marciando. «Bene. Prendi il dossier su di lui e...»

«Mi spiace, nessun dossier. L'informazione era accessoria, il genere di roba che si impara quando si sta cercando qualcos'altro. Non sappiamo niente di quell'uomo, tranne che sembra specializzato nel sequestro di persone che non chiamano a gran voce la polizia.»

«Quindi abbiamo a che fare con degli esperti», osservò Bob.

Non era una bella notizia. Significava che probabilmente Snake aveva perfezionato quella tecnica prima di sequestrare la figlia di VanDuyne. Si rivolse a Keane.

«Riteniamo che dietro a questa faccenda ci sia il mondo della droga, Dan. Chi sono, quelli più probabili?»

«Eh?» Keane pareva lontano mille miglia. Sembrava ipnotizzato dal frigo. Bob si chiese che cosa lo stesse tormentando.

Ripeté la domanda.

«Posso solo fare qualche supposizione», rispose Keane lentamente, come se scegliesse le parole con molta cura. «Il cartello di Cali, e in questi giorni significa soprattutto Emilio Rojas, è quello che si becca la fetta maggiore della torta, ma i trafficanti messicani hanno il maggior numero di contatti con gli Stati Uniti. Potrebbe trattarsi di Rojas che opera tramite i messicani, o dei messicani che agiscono per conto proprio.»

Bob nascose la propria irritazione. Aveva sperato in un'analisi un po' più approfondita, da parte del vicedirettore della DEA.

«Tu che cosa dici?»

«Io dico i messicani. In Colombia i sequestri di persona sono un'arte; avrebbero fatto intervenire gente del loro Paese. Ma penso che i messicani possano avere assoldato un talento locale. Teniamo d'occhio Carillo, Garcia, Esparragosa e gli altri pezzi grossi. Controllerò se qualcuno di loro ha attraversato il confine di recente.»

Era un po' meglio. «Bene. Sappiamo tutti che cosa dobbiamo fare. Non perdete tempo. Questa faccenda ha la precedenza assoluta.» Avrebbe desiderato dir loro che avevano solo fino a martedì, ma lo sapevano solo Rasoio e lui. «Rivediamoci qui alle diciotto, anche prima, se salta fuori qualcosa.»

Mentre cominciavano ad alzarsi Bob disse loro: «So che non è necessario che ripeta ciò che ha detto il Presidente quando siete arrivati, ma lo farò ugualmente. Niente di ciò che viene detto qui deve uscire da queste pareti. Non importa chi ve lo chieda, il direttore del vostro ente, un senatore o un ministro, voi non gli direte niente. Rasoio ha firmato un ordine esecutivo in quel senso, quindi siete fuori dei guai. Non è che non volete parlarne, vi è stato proibito. E voglio sapere subito il nome di chi insiste con voi a questo proposito».

Dan Keane fu il primo ad andarsene, sembrava avere una gran fretta, e fu seguito da Jim Lewis. Gerry Canney rimase indietro, con il frigo portatile che gli pendeva da una mano.

«Grazie per avermi chiamato. Apprezzo la fiducia.»

Bob sorrise e pensò al rischio che avevano corso qualche anni prima, con un certo dottor Latham. «Non è la prima volta che lavoriamo insieme in occasione di un complotto contro il Presidente. Ma forse questa volta non avrai mai la possibilità di parlarne.»

Canney strinse le spalle. «Lo terrò per le mie memorie. Ma più che altro voglio che quella bimba ritorni a casa viva.»

«Pensi a Martha?» chiese Bob.

«Come posso non pensarci? Katie VanDuyne ha solo un paio d'anni di meno.» Lanciò un'occhiata al frigo. «Non so che cosa farei se qualcuno...» Rabbrividì.

«Capisco», fece Bob. I suoi ragazzi erano adolescenti, ma sembrava che non fosse passato molto tempo da quando erano piccoli e inermi.

Quando Gerry se ne fu andato, Bob si mise a prendere appunti e a organizzare le informazioni in suo possesso. Non poteva farsi assegnare una segretaria, per quel caso; quindi doveva pensarci lui stesso.

Non era stato un cattivo inizio. Dan Keane che seguiva le tracce di Snake attraverso i signori della droga. Jim Lewis che lo faceva attraverso il provider anonimo. Gerry Canney che lo faceva tramite il ditino di Katie VanDuyne.

Snake, chiunque tu sia, dovunque tu sia, la chiave sei tu. E sei nella merda. Perché ti troveremo, e quando ti avremo trovato ti torchieremo come non lo sei mai stato. Ti torchieremo finché non ci avrai detto per chi lavori. Poi li troveremo e torchieremo anche loro. E presto troveremo il tizio che ha dato avvio a tutta la faccenda.

Entro martedì, a Dio piacendo.

 

9

 

Dopo una rapida sosta in ufficio per prendere la borsa portadocumenti, Dan Keane si affrettò lungo la Sesta strada, verso il Mall. Le probabilità di imbattersi in qualcuno che conosceva, in centro e il sabato mattina, erano zero, in pratica; ma lui tenne lo stesso gli occhi aperti, continuando a guardarsi intorno, non riuscendo a scacciare il pensiero che qualcuno potesse seguirlo.

Era solo paranoia, lo sapeva. Il piano si stava attuando sotto i suoi occhi. La maglia più debole era sempre stata VanDuyne, e infatti era crollato. Ma non prima di avere somministrato a Winston quell'antibiotico, grazie al cielo. Era quello che importava: togliere dalla circolazione il Presidente.

E bisognava assicurarsi che nessuno collegasse il complotto ai cartelli della droga. Perché, se fosse stato stabilito quel legame, la causa della depenalizzazione ne avrebbe tratto vantaggio: esattamente l'effetto opposto a quello che Dan si proponeva di ottenere.

Almeno lui era al sicuro, finalmente. Niente che lo col legasse a VanDuyne, ai rapitori o a Salinas.

E per diminuire la possibilità che quest'ultimo fosse associato al complotto, tutta l'organizzazione doveva essere smantellata subito.

Ma la bambina? Che cosa le sarebbe accaduto?

Cercò di non pensarci. Sì, lei aveva un nome, ma tentò di tenerlo nascosto in fondo ai recessi della mente, continuò a ripetersi che si sarebbe salvata, ma sapeva benissimo che non era affatto così.

O Dio del cielo, quale mostro è capace di tagliare un dito del piede a una bambina? Dan lo sapeva benissimo. Ed era semplicemente un'altra prova che quegli schifosi bastardi dovevano essere eliminati, non legalizzando il loro sporco traffico ma scovandoli, radunandoli, rinchiudendoli lontano dalla società civile e buttando via la chiave.

Dan conosceva il nome di quel particolare mostro. Gli avrebbe parlato quello stesso giorno. Non molto tempo dopo.

La ragazzina si sarebbe salvata. Ma anche se non fosse andata così...

Non riusciva a credere di pensarlo davvero, ma anche se non si fosse salvata, anche se non fosse riuscita a tornare a casa, si trattava di una sola vita. Se fosse stato l'unico mezzo per porre fine ai progetti di depenalizzazione di Winston, quella vita sarebbe stata sacrificata per salvarne innumerevoli altre.

Continua a pensare al quadro generale, si disse. Non lasciare che le minuzie ti inghiottano. Cos'è mai la vita di una ragazzina, a fronte del disfacimento della fibra morale di una nazione? Una piccola vita...

Scorse un telefono vicino al museo dell'Aria e dello Spazio e vi si avvicinò. Tolse dalla borsa l'apparecchio a batteria per alterare la voce e si guardò intorno. Nei pressi non c'era nessuno. Lo collegò al microfono, infilò un quarto di dollaro nella fessura e compose il numero. Era certo che Salinas registrasse quelle conversazioni e facesse di tutto per localizzarle. Buona fortuna. Dan usava ogni volta un telefono diverso, e nell'improbabile eventualità che quei nastri arrivassero in tribunale l'apparecchio per distorcere la voce avrebbe confuso qualsiasi tentativo di identificarla.

Quando risposero disse: «Passami Salinas».

Le prime volte c'erano state alcune discussioni sul fatto che avrebbe dovuto essere richiamato. Dan aveva sempre rifiutato. Non lo facevano più. Quando udivano la sua voce distorta gli passavano subito la comunicazione. «Sì?» udì la voce di Salinas. «Chi parla?»

Si immaginò quel grassone, in poltrona o su un divano, con il ventre cascante fra le cosce allargate. Quand'è stata l'ultima volta che ti sei visto il cazzo, brutto porco? Mio Dio, quanto odiava quell'uomo. Per quello era entrato nella DEA, per liberare il mondo dai suoi simili.

Ma Salinas non era uno stupido. Dan doveva riconoscerlo. Anche lui riteneva che le telefonate fossero registrate, perciò faceva la parte dello sciocco. Nessuno l'avrebbe messo in trappola.

E quindi iniziarono il loro balletto verbale.

«Sai maledettamente bene, chi parla», fece Dan.

«Scusa, non avevo riconosciuto la voce. La comunicazione dev'essere un po' cattiva.»

«Giusto. La peggiore di tutte. Ecco quello che devi sapere: il bersaglio sarà ricoverato in ospedale oggi pomeriggio, fra qualche ora.»

«Mi dispiace per il signor Bersaglio, ma non credo di conoscerlo.»

«Può darsi che tu conosca il suo dottore. Poco dopo aver dato la medicina al bersaglio ha confessato. Un certo numero di enti governativi è impegnato a dipanare la matassa.»

Una lunga pausa all'altra estremità del filo. Dan era certo che quella fosse l'ultima cosa che Salinas avrebbe voluto sentire.

«Ma il signor Bersaglio è malato?»

«Non ancora, ma si aspetta di diventarlo. Ovviamente il dottore non serve più a niente, quindi bisogna sciogliere immediatamente il gruppo di pressione e restituirgli il suo pezzo di valore.»

«Pezzo di valore?»

«Sì. La cosa preziosa che gli hai portato via.»

«No», ribatté Salinas. «Non credo che sia possibile. Vedi, non si è attenuto ai termini dell'accordo, quindi non può attendersi la restituzione della sua proprietà. Inoltre è più... come dire?... prudente che non resti in circolazione.»

Dan chiuse gli occhi e ripeté il mantra: il quadro generale... lascia perdere i dettagli... considera il quadro generale...

Deglutì. «Sarai così deciso anche a proposito degli altri componenti del gruppo?»

«Certo. È piccolo. Nessuno sentirà la mancanza dei componenti.»

«Nessuno deve metterli in relazione con te o con la tua attività.»

«Non rimarrà nessuna traccia. Come posso venire collegato a qualcosa che non è mai esistito?»

In effetti, come?

Dan riagganciò ed ebbe un conato di vomito.

...lascia perdere i particolari... guarda sempre il quadro generale...

Come diavolo aveva fatto a impegolarsi in una faccenda del genere?

Dovette chiedersi quante persone, alla DEA, non potevano soffrire Winston e il suo progetto. Risposta facile: tutti quanti. Che cos'altro pensare di qualcuno che ha condannato all'estinzione la tua professione, il tuo lavoro di una vita?

Quanti avevano avuto l'idea di cospirare con il nemico, per fermare Winston? Qualcuno forse sì. Ma ne conosceva solo uno che aveva avuto il fegato necessario, che aveva a cuore il proprio dovere e la propria patria tanto da andare fino in fondo.

Daniel J. Keane.

Ma le sue ragioni erano davvero tanto pure e idealistiche? Voleva credere che fosse così, ma nei momenti di maggiore onestà, alle tre di notte, quando si ritrovava sveglio con gli occhi spalancati a fissare il buio, si rimproverava aspramente, sussurrando che era motivato non tanto dai principi quanto dall'autoconservazione.

Aveva dedicato alla DEA la maggior parte della propria vita lavorativa, e quando infine era in buona posizione per diventare amministratore Winston aveva progettato di rendere superflua e di togliere ogni importanza alla carriera di Dan. L'ente avrebbe potuto continuare a esistere, ma solo come guscio vuoto, come organo inutile, con un'importanza pari a quella dell'appendice nel corpo umano.

Aveva stipulato un patto con il diavolo solo per salvare la propria carriera? No. Non poteva accettare una cosa simile. Lui era migliore.

Però sorgeva un'altra domanda: quando hai unito le tue forze con il nemico, non sei forse diventato il nemico stesso? Ma lui non si era unito al nemico, lo stava solo usando. Il suo scopo era nobile.

Uno scopo tanto nobile e sublime da permettere che una bambina morisse perché esso potesse essere raggiunto?

«Espierò», disse a bassa voce. «Giuro sulla vita dei miei figli e dei miei nipoti che non appena questa faccenda sarà finita dedicherò ogni momento della vita, finché campo, a scovare Carlos Salinas e i suoi simili e a farli mettere dentro. Senza dubbio quell'uomo pensava di avere un alleato nei ranghi elevati del governo. Si sbagliava, e di molto».

 

10

 

Carlos sbatté giù la cornetta e fece cenno a Llosa di spegnere il registratore.

«Il nostro amico ha interrotto la comunicazione. Credo di averlo sconvolto. La registrazione è buona?»

Llosa si tolse la cuffia e alzò il pollice. «Adesso chiama quel pendejo di MacLaglen. Digli che gli devo parlare immediatamente.»

Mentre Llosa attraversava la stanza per andare al telefono Carlos si appoggiò allo schienale e chiuse gli occhi.

Mierda! Aveva temuto proprio quello. MacLaglen non aveva spaventato abbastanza il dottore ed erano entrati in gioco i federales. Ciò significava che era giunto il momento di fare un rapido repulisti. Sbarazzarsi della bambina e dei due aiutanti di MacLaglen: ucciderli e seppellirne i cadaveri in un posto in cui nessuno li avrebbe mai scoperti. Carlos sapeva che ad Alexandria stavano pavimentando un nuovo parcheggio. Un posto perfetto.

Gli sarebbe piaciuto mettere anche MacLaglen nella tomba di cemento armato, come aveva pensato all'inizio, ma quel cabrón l'aveva raggirato. Sospirò. Ah, be', la cosa non era poi tanto brutta. MacLaglen era un professionista. Era un rischio accettabile.

E aveva convinto il dottore a somministrare a Thomas Winston il cloramfenicolo. Quello era l'importante. Il Presidente si faceva ricoverare in ospedale. Quando la notizia fosse giunta in patria, Emilio Rojas ne sarebbe stato soddisfatto.

Ormai Carlos doveva solo sperare che la medicina funzionasse. Non aveva più potere su ciò che sarebbe accaduto. La confessione del dottore significava solo che il repulisti sarebbe iniziato prima del previsto. Non era un problema.

Llosa finì di parlare al telefono e si voltò verso di lui. Gli si rivolse in spagnolo. «Gli ho lasciato una comunicazione sulla segreteria. Dovrebbe richiamare da un momento all'altro.»

«Gli hai detto di mettersi in contatto immediatamente?»

«Come mi avevi ordinato.»

«Bene. Quando chiama segui la solita procedura.»

Llosa annuì e se ne andò.

Carlos si chiese se il dottore avesse creduto davvero che non avrebbero scoperto la sua confessione e se si fosse reso conto di avere condannato la figlia. Che pazzo spericolato.

 

11

 

Poppy sudava, dietro alla maschera di Minnie, mentre in soggiorno faceva qualche esercizio ai manubri. Katie stava guardando i cartoni animati. Quando udì sbattere lo sportello di un'auto davanti alla casa Poppy lanciò un'occhiata dalla finestra. Il cuore cominciò a batterle all'impazzata, come se avesse appena preso un grammo di crack.

«Oh, Cristo! È Mac!»

Udì una sedia della cucina ribaltarsi di colpo mentre Paulie si precipitava nella stanza. «Che cosa? Dove?»

In preda al panico, Poppy si portò al centro della stanza. «Là fuori! Sta venendo qui!»

«Merda!» Paulie indicò Katie. «Portala via di qui! Io penserò a far sparire le tracce. Sbrigati!»

Poppy afferrò Katie per le ascelle, la sollevò e la trascinò in fretta nella camera degli ospiti.

«Che cosa c'è?» chiese la bambina. «Perché avete tanta paura?»

Poppy la depose sul letto e chiuse la porta. «È il nostro capo. Non deve sapere che ti lasciamo andare in giro per casa senza benda.»

«Perché no? Guardavo solo...»

Poppy pose un dito sulle labbra di Katie e sussurrò: «Sss. Sono le regole del capo. Devi stare molto tranquilla, mentre lui è qui. Tranquilla come un topolino. Va bene?»

Lei fissò Poppy e usò lo stesso tono bisbigliato. «Va bene.»

«Magnifico.»

Poppy nascose quegli occhioni azzurri dietro la benda. Con le dita che le tremavano, ebbe qualche difficoltà a fare il nodo, ma infine riuscì a legarlo ben stretto sulla nuca di Katie.

«Bene.» Si tolse la maschera e disse: «Adesso sdraiati e lascia che ti leghi le braccia».

La bimba fece il broncio e singhiozzò. «Non voglio che mi leghi.»

Oh, Cristo, Katie, pensò Poppy mordendosi le labbra, non farmi arrabbiare proprio adesso; non con Mac che sta per entrare in casa.

«Sss! Per favore, Katie, devi stare zitta. Ti ho detto che devi stare tranquilla come un topolino, ricordi? Be', bisogna anche che ti leghi. Le regole le ha stabilite il capo. E non gli piace che si trasgrediscano.»

Lei singhiozzò di nuovo e parlò più forte. «Ma fa male!»

E in quel momento Poppy udì il portone che si apriva e la voce di Mac. Non riuscì a capire le parole, ma era lui.

Oh, Cristo, fa' che non venga subito qui. Dammi solo un altro mezzo minuto.

«Va bene, va bene. Non ti legherò stretto. Non ti farà male, te lo prometto, ma devi sembrare legata stretta, capito? Le regole del capo, ricordi? Non vuoi che finisca nei guai, vero?»

La bambina scosse la testa. «No...»

«Va bene, allora. Adesso svelta. Sdraiati e lasciami fare quello che devo; non sentirai niente, te lo assicuro.»

Katie tirò un po' su con il naso, ma si stese sul letto e alzò le mani per farsele legare.

«Sei proprio un bravo soldatino», sussurrò Poppy.

Ma le dita le tremavano ancora di più. Riuscì a stento a reggere la corda, comunque la piegò in qualcosa che sembravano nodi.

«Va bene. Sei legata. Ti fa male?» Katie scosse la testa.

«Magnifico. Adesso...»

Poppy lanciò un'occhiata ai piedi di Katie. Il cuore le batteva forte da quando aveva scorto la Jeep di Mac, ma accelerò ancora. Il piede sinistro della bambina aveva calzino bianco, ma il destro era... scalzo!

«Cristo, dov'è finita la benda?»

Katie dimenò le dita nude. «Penso che sia caduta.»

No! Non era possibile! Non con Mac a pochi metri di distanza! Guardò sul pavimento, guardò sopra le coperte, ma non la trovò. E poteva entrare da un momento all'altro.

«Va bene, senti», le disse. «Ti coprirò le gambe. Non agitarle, anche se senti un po' di caldo, tienile sotto le coperte, Capito?»

Katie annuì.

«Brava», le disse Poppy. Si piegò sul letto e le diede un bacio in fronte, proprio sopra la benda.

«Non appena il capo se ne va faremo un'altra partita. Va bene?»

Katie sorrise. «Bene.»

Poppy sistemò le coperte e fece qualche passo indietro per controllare. Sembrava tutto a posto. Un ultimo sguardo alla bambina... ed era giunto il momento di affrontare Mac il Mostro.

Andò nel soggiorno, chiudendosi la porta alle spalle. Vide Paulie in piedi accanto al divano e Mac che girava per la stanza e faceva roteare il mazzo di chiavi che aveva in mano. Indossava un paio di jeans e un giubbotto degli Orioles, aperto. Percepì la tensione nell'ambiente.

Mac si fermò e le sorrise, ma era un finto sorriso. «Ti prendi cura del nostro piccolo tesoro?»

Poppy annuì. «L'ho appena...» Aveva la bocca tanto secca che dovette schiarirsi la gola. «L'ho appena messa giù perché dorma un po'.»

«Bene. Sapevo che saresti andata proprio bene, per questo lavoro. Una bella chioccia per il pacco.»

Poppy lanciò furtive occhiate per la stanza. Sembrava che Paulie avesse fatto un buon lavoro. La scacchiera e le pedine erano spariti, e anche la maschera di Topolino. Non aveva mai fatto ordine, lei credeva che non ne sarebbe mai stato capace. Dove l'aveva ficcata, tutta quella roba? Sotto il divano?

«Il tuo amichetto mi stava giusto dicendo che spera non sia rimasto nessun risentimento per il nostro piccolo contrattempo di ieri.»

Contrattempo? Di che cosa stava parlando, Mac? Aveva uno sguardo strano, negli occhi. Stava forse cercando una ragione per litigare?

«Non abbiamo nessun risentimento contro nessuno», ribatté Poppy. «Vogliamo solo che questa faccenda finisca, e presto.»

Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma scorse una macchia bianca accanto alla gamba posteriore del tavolino. Non voleva chinarsi, quindi dovette metterla a fuoco con la coda dell'occhio. Qualcosa di bianco con una traccia di rosso...

Oh, Cristo, la benda! La benda del piede di Katie! Se Mac l'avesse notata avrebbe cominciato a fare domande, forse avrebbe voluto vedere il piede della bambina! Oh, Gesù! Oh, Cristo! Oh, Madre di Dio, non poteva lasciare che Mac la vedesse!

«Sono sicuro che è così», le disse Mac. Poi si rivolse a Paulie. «Ma devo considerare questa dichiarazione come una scusa?»

Poppy si spostò piano piano verso il tavolino. Se almeno avesse potuto mettersi fra Mac e la benda...

Paulie strinse le spalle. «Se vuoi. Dico solo che il capo sei tu, sei tu che dai gli ordini, ma noi abbiamo dei limiti.»

Poppy vide che Mac si toglieva il giubbotto degli Orioles e lo buttava su una sedia. Aveva cercato di renderlo un gesto casuale, ma non appena Poppy scorse l'impugnatura della rivoltella che spuntava dalla fondina di cuoio, vicino al cercapersone che portava in cintura, capì che non era affatto così.

Che intenzioni ha, Mac? si chiese. Vuole cercare di spaventarci? Io sono già spaventata, anche troppo.

Si accorse che anche Paulie aveva notato quel gesto. Non parlarne, Paulie, pensò, augurandosi che potesse leggerle il pensiero. Non dargli questa soddisfazione.

Si spostò ancora più vicino alla benda. Era più importante che mai impedirgli di vederla.

«Vediamo se ho capito bene», dichiarò Mac. «Dici che sono il vostro capo, ma solo fino a un certo punto. Al di là, il capo sei tu?»

«No, Mac», rispose Paulie in tono pacato. «Non intendevo affatto quello. Volevo solo dire che mi hai ingaggiato, non comprato.»

Lui lo fissò come se stesse pensando a ciò che aveva detto. Poppy utilizzò la pausa per accostarsi al tavolino. Ormai aveva il piede vicino alla benda. Avrebbe desiderato mettervelo semplicemente sopra e tenerla lì sotto, ma c'era la sedia di mezzo. Bene, sarebbe restata in quella posizione e l'avrebbe nascosta agli occhi di Mac.

Ma lui ricominciò a girare per la stanza. Poppy si sentì raggelare dal terrore. L'avrebbe vista, lo sapeva.

«Penso che tu abbia proprio ragione, Paulie», stava dicendo Mac.

Cristo, si stava spostando verso di lei. Non poteva non vederla.

Poppy mise il piede destro sul tavolino e cominciò a trafficare con i laccetti della scarpa da ginnastica, come se il nodo si fosse sciolto. Mac era a circa un metro e mezzo da lei. Con il cuore che le batteva forte lo disfece, poi con un forte rumore di disappunto si girò, si sedette sul bordo del tavolino e si chinò per allacciarsi la scarpa. Quando ebbe le mani vicino al pavimento, afferrò furtivamente la benda e l'appallottolò nel pugno.

L'ho presa!

«Che cos'è?» chiese Mac. Aveva smesso di far roteare le chiavi e la stava fissando.

Guardò lui, poi la propria mano. Che cosa poteva dirgli? «Oh, solo un fazzolettino.»

Mac stava per dire qualcosa quando il suo cercapersone squillò. Lo alzò per leggere il messaggio, e intanto Poppy tirò su con il naso, se lo soffiò in fretta e si infilò in tasca la benda, trattenendo il fiato.

Premette un pulsante e spense l'apparecchio. «Subito potrebbe richiedere un po' di tempo», borbottò; poi riprese a girare per la stanza.

«Sì, Paulie», disse parlando a bassa voce, come se non avesse qualcosa di preciso da dire, come se stesse solo ammazzando il tempo, «ma se una persona accetta un incarico, non dovrebbe eseguirlo?»

«Certo», rispose Paulie. «Prendi me e Poppy, per esempio. Siamo stati ingaggiati per sorvegliare un pacco. E questo va bene. Questo è l'incarico e noi lo portiamo a termine. Ma non abbiamo accettato di fare a fettine una bambina. Non era nelle specifiche, per così dire.»

Poppy ascoltava appena. Stava ferma, fiaccata, e faceva profondi respiri mentre i muscoli si rilassavano e il battito cardiaco si normalizzava.

Adesso andava tutto bene. Finché Mac non fosse entrato là dentro e non avesse controllato il piede di Katie, erano certi del successo.

Poi udì uno scatto, alzò gli occhi e pensò che il cuore le si sarebbe fermato del tutto: sulla soglia della camera degli ospiti c'era Katie, senza corde ai polsi, senza benda sugli occhi e senza calzino al piede destro.

Vincendo il panico, Poppy si girò di scatto e vide che Mac aveva la schiena voltata. Ma Paulie l'aveva vista e aveva fatto una faccia come se avesse ingoiato mezzo metro di filo spinato.

Poppy si preparò a scattare verso la porta, per afferrare Katie e spingerla di nuovo dentro, ma la bambina parlò: «Devo andare in bagno».

Mac si girò di scatto e il tempo parve fermarsi, come se il proiettore del film della loro vita si fosse arrestato con uno stridio.

Pareva che tutta l'aria fosse stata risucchiata via dal soggiorno, ma non importava perché nessuno respirava.

La vita di Poppy s'immobilizzò per un istante, come in una foto.

Ma solo per un istante, lungo e pieno di sofferenza. Poi tutto riprese, orribilmente.

Fissando Katie, Mac strabuzzò gli occhi e diventò rosso per la rabbia.

«Cosa cazzo? È... È...» Sembrava non credere ai suoi occhi. Poi li sgranò ancora di più indicando il piede nudo. «Le dita dei piedi! Come mai ha ancora tutte le dita dei piedi?»

«Ehi, Mac», fece Paulie. «Le cose non stanno come credi.»

Mac estrasse la rivoltella dalla cintura. Armò il cane e mirò a Katie.

Poppy non riuscì a muoversi. Sembrava incollata al tavolino, al pavimento. Ma fu capace di urlare.

«Mac, no! Cristo, no!»

Non riuscì a capire se lui l'avesse udita oppure no. Forse temeva il rumore dello sparo e l'attenzione che avrebbe suscitato. Comunque fosse, rimise l'arma nella fondina.

«Cristo santo!» gridò e si guardò intorno per cercare qualcosa, Poppy non riuscì a capire cosa, continuando a ripetere: «Cristo santo!»

«Calma, Mac», stava dicendo Paulie.

A quanto pareva, questi non riusciva a trovare ciò che voleva in soggiorno, quindi andò in cucina.

Finalmente Poppy riuscì a muoversi. Paulie la stava guardando con un'espressione affranta, le fece cenno di far sparire Katie, ma Poppy lo stava già facendo. Stava trascinando Katie nella camera da letto quando Mac ricomparve. Il viso gli era ritornato del colore normale, ma aveva perso ogni espressione, e gli occhi... gli occhi erano vuoti e freddi, come se in essi fosse sparita ogni traccia di umanità. Nella destra aveva qualcosa di lungo e sottile. Mentre passava davanti alla finestra la luce del sole si rifletté sulla sua superficie d'acciaio.

Oh, Cristo, un coltello... quello grande, lungo almeno trenta centimetri, che aveva visto nel cassetto degli utensili da cucina.

Mentre stringeva Katie contro di sé e si nascondeva in camera, Poppy gemette. Oh, no, non poteva... non voleva cercare di tagliarle il ditino adesso, vero? Non poteva essere.

«Paulie!» gridò. «Paulie, ha un coltello!»

Ma lui l'aveva già preceduta. Si mise davanti alla porta e tese le mani. «Fermati dove sei, Mac. Non commettere una pazzia. Le cose non stanno come sembra.»

Mac rallentò, ma senza fermarsi. «Ah no?» chiese con una voce fredda come gli occhi.

«Abbiamo consegnato l'elemento di persuasione proprio come avevi detto tu», spiegò Paulie sparando le parole come una mitragliatrice. «Il dito del piede di un ragazzino. Solo che non era di questa bambina. E ha funzionato, no? Voglio dire, hai detto tu stesso che quel tipo era pronto a fare qualsiasi cosa, dopo avere aperto la busta. Quindi non è successo niente di male. Ha funzionato tutto come doveva, no? Allora a che cosa serve tagliarle il dito adesso? Quale vantaggio porterebbe?»

Infine Mac si fermò. Fissò Paulie con uno sguardo disgustato. «Sei proprio un idiota, cazzo. Che cazzo mi importa del dito, adesso. Mi ha visto! Ci ha visto tutti!»

Quelle parole furono come lance che trafissero il cuore di Poppy.

La ucciderà! Ucciderà la mia piccola Katie!

«Andrà tutto bene», fece Paulie.

«Certo che sì», ribatté Mac riprendendo a muoversi. «Appena l'avrò fatta fuori.»

Cercò di aggirarlo, ma lui gli bloccò il passo.

«Ehi, Mac, non puoi dire sul serio. Quella bambina non la puoi eliminare!»

«Fatti da parte, Paulie! Non finirò certo in prigione perché una mocciosa è in grado di denunciarmi.»

Lui lo spinse indietro. «Basta, Mac, rifletti.»

Allora Mac si infuriò. Digrignò i denti e tirò un fendente.

Poppy urlò. «Attento, Paulie!»

Lui fece un salto indietro, toccandosi un braccio. Aveva la mano bagnata di rosso. «Figlio di puttana! Mi hai ferito!»

Poppy conosceva quel tono di voce. Paulie si era incazzato. Avanzò verso Mac, schivò un altro colpo, poi si avvinghiarono, scalciando, imprecando, grugnendo, sbuffando come animali mentre cercavano entrambi di conquistare il controllo del coltello.

Poppy spinse Katie di nuovo sul letto. «Sta' qui e non muoverti!»

Tornò in soggiorno e si strinse contro il muro mentre Paulie e Mac si dibattevano sul pavimento. Doveva trovare il modo di fermare Mac. Ma come? Poi, accanto al tavolino, scorse i pesi con cui si stava allenando.

Sì! Ne afferrò uno e lo sollevò proprio mentre Paulie si portava sopra Mac. Strisciò più vicino, in cerca di un varco, aspettando di poter colpire la testa di Mac.

Poi udì Paulie emettere un forte «Ah!», un incrocio fra un grido strozzato e un gemito di agonia, e nello stesso orribile istante vide la punta del coltello spuntare dalla schiena della sua camicia, con una macchia che le si allargava intorno.

Poppy urlò il suo nome e si buttò in avanti, proprio mentre Mac stava spingendo via Paulie da sopra di sé. Aveva quasi dimenticato il manubrio che aveva in mano, ma quando vide Mac rialzarsi lanciò un urlo che non aveva mai immaginato di poter emettere, un grido di rabbia e di paura simile allo stridio di un camion con i freni difettosi. Mac la guardò e per un attimo lei si crogiolò nello sguardo di improvviso terrore di cui si riempirono i suoi occhi quando la vide e si rese conto di quale oggetto gli aveva sollevato sopra la testa.

Gridò «No!» e cercò di alzare una mano, ma era troppo tardi. Poppy lo colpì con l'estremità del manubrio proprio in mezzo agli occhietti glaciali e maligni, schiacciandogli il naso. Il sangue si sparse su tutto il viso, lui batté la testa contro il pavimento e non si mosse più.

Poppy se ne disinteressò immediatamente, gettò in terra il manubrio e si avvicinò a Paulie, che stava disteso sul pavimento con il manico nero del coltello che gli sporgeva dallo stomaco, proprio sotto lo sterno. La camicia nera non lasciava vedere il rosso del sangue, era solo un po' più scura e bagnata. E lui era tutto bagnato. Aveva il viso bianco come un cencio e sembrava che faticasse a respirare; Poppy non voleva pensarci, non voleva credere che potesse accadere, ma capì che il suo Paulie stava morendo.

«Paulie?»

Lui guardò lei, poi il manico che gli spuntava dalla camicia. Lo toccò con le dita che gli tremavano. Mentre sussurrava sibilando cercò di sorridere.

«Non è brutto come sembra. Me la caverò.»

Poppy cercò di trattenere i singhiozzi, ma senza riuscirci, e cominciò a piangere. «Oh, Cristo, Paulie, ti è uscito dalla schiena!»

Lui batté le palpebre. «Davvero? Oh.» Guardò il manico e lo toccò di nuovo. «Aiutami a tirarlo fuori.»

«No! Non posso!»

«Fa tanto male, Poppy. Devi tirarlo fuori. Per favore.»

«Va be-bene.» Toccare quel manico era l'ultima cosa che avrebbe voluto fare, ma se faceva tanto soffrire Paulie...

Si costrinse a circondarlo con entrambe le mani, lo serrò leggermente e tirò. Paulie si irrigidì e gemette.

«È bloccato!» La sua voce salì fino a diventare un lamento. «Non ci riesco, Paulie!»

«È la mia unica possibilità. Tiralo fuori! Subito!»

Tremando e singhiozzando, Poppy intensificò la stretta e tirò il manico con tutte le sue forze. Dopo una resistenza iniziale, uscì all'improvviso e per poco lei non cadde all'indietro.

Quando Poppy si drizzò, Paulie era ancora più pallido di prima, ma le sorrideva. «Oh, così sto meglio.»

Ma quando guardò la ferita vide il sangue che ne sgorgava e scendeva dai fianchi di Paulie. All'improvviso lui contrasse tutto il corpo e la guardò. Riuscì a stento a udirne la voce.

«Forse avremmo dovuto lasciarlo dentro.»

E poi non c'era più. Non si mosse, non emise nessun altro rumore; aveva gli occhi ancora aperti e la guardava, ma Paulie non c'era più.

No... non poteva essere...

«Paulie?» fece. «Paulie?»

Lasciò cadere il coltello e si piegò su di lui, con le braccia tese, quando qualcosa le urtò una gamba. Si girò. Mac si stava muovendo. Aveva il naso schiacciato e sembrava che gli avessero tirato in faccia un pomodoro maturo, ma le palpebre battevano. Stava rinvenendo.

Allora Poppy capì che doveva ammazzarlo. Non poteva permettere che l'uomo che aveva ucciso Paulie e che voleva uccidere Katie facesse un altro respiro.

Cercò il manubrio e vide che era rotolato lontano. Fece per alzarsi e andarlo a prendere quando notò il manico della rivoltella infilata nella cintura di Mac.

Sì. Con la sua stessa rivoltella.

Ma mentre iniziava a estrarla una mano le strinse il polso.

Mac le lanciò uno sguardo stordito. «Niente da fare, puttana.»

Poppy mise l'altra mano sull'arma e la liberò con uno strattone, però Mac le stringeva ancora il polso. E utilizzò anche l'altra mano, cercando di togliergliela. Ma Poppy non la mollava. Sapeva che da questo dipendevano la propria vita e quella di Katie.

All'improvviso l'arma sparò e Poppy sentì qualcosa sfiorarle la guancia. Così vicino, il rumore fu tanto assordante che per poco non perse la presa.

Abbassò gli occhi e notò le dita di Mac sul grilletto, poi lo guardò e vide che le sorrideva, sicuro di avere la meglio su di lei. Tanto per fargli capire che non era così, Poppy piegò la rivoltella, che fece fuoco di nuovo. La pallottola gli recise una ciocca di capelli.

Il suo sorriso scomparve. Se non si fosse appena ripreso da un forte colpo e non avesse avuto a che fare con una persona che si teneva in allenamento molto più di lui, l'avrebbe già sopraffatta. Ma era ben lontano dalla sua forma migliore, mentre Poppy era al massimo e sapeva che avrebbe dovuto impadronirsi in fretta di quella rivoltella, prima che la muscolatura più sviluppata e il maggior peso di Mac la fiaccassero.

Infilò il pollice nel grilletto, sopra il suo, e premette forte spingendo contemporaneamente la canna verso di lui. Un altro colpo, che gli pizzicò la spalla prima di fracassare una finestra. Lui fece una smorfia e sobbalzò. Mentre un po' di sangue cominciava a filtrare attraverso il buco nella camicia, lui si mise a scalciare sul pavimento, cercando di far leva su di lei. Poppy continuò a fissarlo senza parlare. Ormai non lottavano più per il possesso della rivoltella ma per dare una direzione alla canna, e lui dovette vedere qualcosa negli occhi di lei, perché assunse un'espressione spaventata.

Infine i suoi piedi dovettero trovare un punto d'appoggio, perché all'improvviso si mosse di traverso per rovesciarla e intrappolarla sotto il suo peso. Se ci fosse riuscito avrebbe ottenuto il controllo della situazione. Poppy concentrò tutte le sue forze per imprimere un'ultima disperata torsione alla canna, sollevandola e schiacciando il grilletto.

Il lampo le bruciò il mento; Mac urlò e si accasciò, con il sangue che gli sgorgava dal lato destro della testa. La sua presa si allentò e all'improvviso la rivoltella fu tutta di Poppy.

Lei arretrò muovendosi a tentoni con gambe, braccia e sedere; poi si stese ansimando, con l'arma puntata contro di lui. Armò il cane e rimase pronta a sparargli di nuovo. Ma lui non si mosse. Era steso di schiena, con braccia e gambe aperte, l'occhio destro tutto rosso, la testa in una pozza di sangue che si stava allargando.

Mac era morto. Aveva ammazzato un uomo, ma andava bene. Non era un uomo... era Mac. Lui aveva fatto fuori Paulie e stava per uccidere...

Katie!

Poppy si rese conto che una bambina stava urlando. Lasciò cadere la rivoltella e corse nella camera degli ospiti, dove la trovò accovacciata in un angolo, bianca come un cencio, con le mani sulle orecchie, gli occhi stretti e la bocca spalancata. Sollevò quel corpicino tremante e lo tenne contro di sé.

«Tutto a posto, bambina», le sussurrò vicino alle orecchie. «Tutto a posto. È finita e nessuno ti farà del male. Poppy si prenderà cura di te. Adesso sei al sicuro. Al sicuro.»

Al sicuro... Poppy si rese conto che non era affatto così. Quanti colpi avevano sparato? Tre? Quattro? Non riusciva a ricordarlo. Ma di certo qualcuno stava telefonando al 911 proprio in quel momento, per riferire che Sylmar Street si era trasformata nell'OK Corral.

Doveva andarsene da lì.

Ma dove? Non aveva nessun posto in cui andare. E non aveva soldi. Ci pensava sempre Paulie, a...

Paulie! Oh, Cristo, il povero Paulie era morto nell'altra stanza... Ricacciò indietro un singhiozzo. Non poteva pensare a lui. Doveva mettere in salvo Katie e se stessa.

«Ecco che cosa faremo. Ce ne andremo in un altro posto, un posto nuovo di zecca in cui non fanno del male a nessuno. Va bene? La prima cosa che devi fare è chiudere gli occhi.»

Katie non parlò, ma quando Poppy la guardò aveva gli occhi chiusi. Forse erano così già da prima. La portò fuori, guardando avanti e distogliendo la bambina dal soggiorno imbrattato di sangue. Una volta in cucina, la depose su una sedia.

«Sta' qui, Katie. Non muoverti. Torno subito.»

Lei rimase immobile, con gli occhi chiusi.

Poppy tornò in soggiorno, vincendo la nausea che la colse passando vicino ai cadaveri. Sangue dappertutto. Non voleva restare lì, ma aveva bisogno di soldi. E ancora di più delle chiavi del furgoncino.

Senza guardarlo (non poteva sopportare di vederne il viso esangue), girò intorno al corpo di Paulie e si inginocchiò appena fuori della macchia rossa e umida che lo circondava. Si allungò verso di lui, poi si ritrasse. Povero Paulie. Non riusciva nemmeno a guardarlo. Ma doveva farlo. Non era il momento di restare lì inginocchiata a torcersi le mani. Stava arrivando la polizia, accidenti.

Facendosi forza e guardando solo con la coda dell'occhio, si costrinse a tastargli le tasche. Quelle davanti erano vuote. Mordendosi le labbra lo fece rotolare di fianco (quant'era pesante!) e trovò il portafoglio, ma non le chiavi del furgoncino.

Quei soldi non l'avrebbero portata lontano. Lanciò un'occhiata a Mac. Aveva sempre grosse somme in contanti. Si alzò e gli si avvicinò. Le fu più facile frugargli in tasca. Aveva solo la testa insanguinata e di lui non le importava niente.

Tirò fuori il portafoglio e fece un sospiro di sollievo quando lo vide pieno di biglietti da venti e da cinquanta dollari e di una mezza dozzina di carte di credito, tutte intestate a un nome diverso. Ottimo. Lei e Katie erano ben provviste. Adesso avevano bisogno di un automezzo.

Scorse le chiavi della Jeep di Mac per terra, accanto alla rivoltella. Fece per prenderle, poi ci ripensò. Non era un genio, ma si rese conto che quell'auto era parcheggiata di fronte alla casa, quando erano stati sparati i colpi. Qualcuno avrebbe potuto segnare il numero di targa. Sarebbe stato meglio prendere il furgoncino. Tranne che per un paio di rapide uscite, era rimasto sempre in garage.

Balzò in piedi e andò nella loro camera da letto: le chiavi erano sul cassettone. Le prese, insieme alla sua borsetta, e tornò in cucina. A metà strada lasciò cadere tutto. Una rivoltella, una borsetta, due portafogli e le chiavi... Troppa roba, per tenerla tutta in mano. E probabilmente avrebbe anche dovuto prendere in braccio Katie. Aveva bisogno...

Su una sedia scorse il giubbotto di Mac. Non voleva avere niente che fosse appartenuto a quella carogna, ma in quel momento non era in grado di fare troppo la schizzinosa. Se lo infilò e mise tutto in tasca. Poi prese Katie e si diresse verso il garage.

«Vieni, tesoro», le disse. «Ce ne andiamo via di qui.»

Mentre apriva la porta fra la cucina e il garage udì squillare ancora il cercapersone di Mac. Chiunque lo chiamasse, gli sarebbero venuti i capelli bianchi, ad aspettare una risposta.

 

12

 

«Sei certo di chiamare i numeri giusti?» chiese Carlos.

Llosa annuì con forza. «Sì!»

«Ho provato anch'io», soggiunse Allen Gold.

«Allora perché non risponde, quell'hijo de puta? L'ha sempre fatto.»

«Forse ha spento il cercapersone», suggerì Allen, «oppure gli si è scaricata la batteria.»

«E la segreteria?»

Allen si strinse nelle spalle. «Chissà ogni quanto la controlla?»

Carlos si stava preoccupando. Non era possibile che MacLaglen non restasse in contatto in un momento tanto critico. Era molto sconsiderato da parte sua, e per quel poco che Carlos lo conosceva lui non era affatto sconsiderato. In fondo allo stomaco gli stava nascendo un brutto presentimento: qualcosa era andato storto.

Fece un cenno ad Allen. «Voglio che tu prenda con te Llosa e che passiate in auto davanti a casa sua.»

«Sappiamo dove abita?»

«Ad Alexandria. Ti darò l'indirizzo. E te ne darò anche un altro. Ma devi passarci davanti e nient'altro. Non suonare il campanello, non fermare nemmeno la macchina. Comprende?»

«Certo.»

«Telefona immediatamente, se vedi qualcosa.»

Li guardò andarsene, poi tornò al suo massaggio alla schiena. Aveva i muscoli molto contratti. Qualcosa era andato storto... se lo sentiva.

 

13

 

Il sole era alto e luminoso in un cielo senza nubi, ma era come se Poppy guidasse tra la nebbia. Riusciva a stento a sentire le mani sul volante. Era intorpidita in tutto il corpo.

Spinse al massimo il furgoncino lungo la 95 nord attraverso il Maryland, poi si stabilizzò a circa novantacinque chilometri l'ora. Le sarebbe piaciuto andare a centocinquanta, a trecento, ma non era certo il caso di farsi fermare da un agente della stradale. Novantacinque andavano bene.

Lanciò un'occhiata a Katie, assicurata al sedile con la cintura di sicurezza. Nei giorni precedenti era stata una ragazzina chiacchierona, ma da quando erano uscite dalla casa Poppy non aveva sentito un suono uscire da quelle labbra. Poverina... Aveva visto cose che nemmeno un adulto dovrebbe vedere, figuriamoci una bambina di sei anni.

Appena arriviamo in qualche posto, pensò Poppy, dovrò darmi da fare con lei. Indurla a parlare. E pensare a che cosa fare di lei.

Sì. Appena arriviamo in qualche posto.

Ma dove stava andando? E che cosa avrebbe fatto, una volta arrivata?

La mia prossima mossa, pensò. Una buona domanda. Che cosa faccio, adesso?

Avrebbe voluto che ci fosse Paulie. Lei non era brava, in quel genere di cose, ma lui avrebbe saputo che cos'era meglio fare.

Il pensiero di Paulie le provocò un dolore al petto. Ricordò la sua buffa risata, il sorriso storto, i suoi tentativi di apparire un duro quando era tutt'altro che cattivo. E ora era morto. Non lo voleva ricordare in quel modo, inzuppato di sangue, il viso pallido come un cencio, gli occhi fissi. Voleva ricordarlo a letto, mentre le faceva provare sensazioni meravigliose...

«Perché piangi?» La voce di Katie la fece sobbalzare.

Poppy si toccò le guance e ritrasse la mano tutta bagnata e macchiata di mascara. Tirò su con il naso e soffocò i singhiozzi. Non posso crollare proprio adesso. Devo farmi forza per amore di Katie.

«Perché sono triste.» Come mai aveva detto una cosa simile? Non voleva cominciare a rispondere a domande sull'amore e sulla morte. «Oggi ho... perso un amico carissimo.»

Sentì che qualcosa la toccava. Guardò in basso e vide la manina di Katie che le dava dei colpetti sull'avambraccio.

«Non ti preoccupare. Sarò io la tua amica.»

E quella frase non fece che provocare altre lacrime.

Sono un rottame, si disse. Se non mi fermo e non mi rimetto in sesto va a finire che ammazzo tutt'e due. Poco a nord di Baltimora, prima dell'uscita per Edgewood, scorse un'insegna che diceva BENZINA - RISTORO - ALLOGGIO. Non aveva mai sentito parlare di quella cittadina e pensò che forse andava bene. Chi l'avrebbe cercata a Edgewood, nel Maryland?

Prese la rampa dell'uscita 77 e il primo posto che incontrò apparteneva alla catena Best Western. Ai due angoli c'erano un Denny e un McDonald's. Perfetto.

Parcheggiò, spense il motore e rimase lì, senza riuscire a muoversi. Le pareva di pesare un paio di tonnellate. Si sentiva così completamente sola, tanto incerta. Era la cosa giusta da fare, fermarsi lì?

Che cosa avrebbe fatto Paulie?

Probabilmente avrebbe detto: «Porta il furgoncino fuori della strada, fermati da qualche parte e resta lì finché non hai fatto un piano. Non andartene in giro alla cieca».

Bene, avrebbe fatto un piano. Ma prima di tutto doveva pensare a come avrebbe pagato la stanza. In contanti o con una carta di credito?

Aprì il portafoglio di Mac ed esaminò le carte. Tutti quei nomi diversi... James King, Eric Coral, Francis Black, Steven Garter, Jason Rattle, William Boa... carte rubate o conti veri intestati a nomi finti?

Strano, pensò. Tutti nomi di serpenti. Non poteva trattarsi di una coincidenza. E ricordò quello che Paulie diceva sempre di lui: «un tipo che bada molto ai particolari». Non era il tipo da andare in giro con carte di credito pericolose. Probabilmente si riferivano tutte a conti correnti reali.

Bene. Le avrebbe usate a rotazione e avrebbe risparmiato i contanti. Senza dubbio Mac non avrebbe denunciato che erano state rubate.

«Come mai hai la faccia tutta nera?» chiese Katie. Poppy si guardò nello specchietto retrovisore. Aveva le guance piene di macchie.

«Il mascara. Mi piace mettermene un mucchio.»

«Perché? E perché hai anche le labbra tutte nere?»

«Perché anche il rossetto che adopero è nero, sciocca.»

Poppy si chiese perché Katie facesse tutte quelle domande, poi si rese conto che non l'aveva mai vista senza maschera fino a quel mattino.

«E perché porti degli orecchini in faccia?»

Poppy si guardò di nuovo nello specchietto. Quasi non se ne accorgeva più, del bottoncino di diamante nella narice sinistra e del sottile anello d'argento inserito nel sopracciglio destro. Nessuno di quelli che frequentava ci faceva caso. Diavolo, la maggior parte ne aveva più di lei. Molti di più.

Ma in un mondo di persone normali erano particolari che la facevano notare. Prima di allora non le era mai importato. Le piaceva sfoggiarli, anzi. Era come mandare affanculo tutti quei bigotti.

Ma in quell'occasione l'ultima cosa che desiderava era essere notata. Gli anelli bisognava toglierli. Ma non tutti.

«Vuoi vederne un altro?» Sollevò la camicetta e mostrò a Katie l'ombelico forato. «Che cosa ne dici di questo?»

La bambina fece una smorfia. «Ohhh! Perché...»

«Adesso basta con le domande. Andiamo a prenotare una stanza.»

«Ci fermiamo qui?» Le brillarono gli occhi. «Oh, magnifico! Spero che il letto abbia le Dita Magiche per il massaggio!»

E Poppy fece una cosa che non avrebbe mai creduto di poter fare ancora: sorrise.

 

14

 

«Credo che siano successi dei guai.»

Allen aveva detto di telefonare da un parcheggio di Falls Church. Le sue parole fecero contrarre i muscoli della schiena di Carlos.

«Racconta.»

«A casa sua niente. Ci siamo passati davanti due volte e non abbiamo visto nulla di insolito. Ma al secondo indirizzo sembra che sia arrivata la fine del mondo.»

La casa di Falls Church. Carlos chiuse forte gli occhi. Lo sapevo!

«Che cos'è successo?»

«Piedipiatti dappertutto. Sembra che ci sia stata un'irruzione o qualcosa del genere. Non abbiamo potuto vedere bene.»

«L'auto del nostro amico... la Jeep?»

«Non lo so. Voglio dire, con tutte le auto di pattuglia e i camioncini della Scientifica, chi ha potuto dare un'occhiata? Siamo passati e abbiamo allungato il collo come normali curiosi, ma i piedipiatti ci hanno fatto proseguire. Comunque abbiamo visto un cadavere.»

«Era...»

«Non abbiamo capito. Era coperto da un lenzuolo dalla testa ai piedi e lo stavano portando in un'ambulanza.»

Mierda! Probabilmente era un disastro. Ma non poteva lasciar capire ad Allen o a Llosa che era sconvolto.

«Ritornate subito. Dobbiamo stabilire un piano.»

Riagganciò e si tamburellò il ventre. Aveva delle conoscenze, al quartier generale della polizia. Si sarebbe messo in contatto con loro e si sarebbe fatto dire che cos'era accaduto nella casa di Falls Church.

La possibilità peggiore era che MacLaglen fosse morto. Ciò significava che quella maledetta cassetta sarebbe stata consegnata molto presto a parecchi enti federali. E quindi Carlos si sarebbe diretto verso il suo aeroporto privato, dove teneva l'aeroplano nuovo.

MacLaglen vivo ma in prigione era una eventualità quasi altrettanto brutta. Era un duro, ma avrebbe dovuto affrontare accuse gravissime. Quanto tempo sarebbe occorso prima che denunciasse chi l'aveva ingaggiato? Secondo Carlos non avrebbe resistito più di un giorno.

Anche un MacLaglen detenuto avrebbe causato un rapido viaggio fino all'aeroporto.

E Maria? Se avesse dovuto fuggire non sarebbe potuto tornare. Era possibile che non la rivedesse mai più. Sarebbe dovuta partire con lui, che le piacesse o no. Avrebbe ordinato a Llosa di andare a prendere quella perra e di trascinarla fino all'aeroporto.

Ma dove poteva andare? Per quanto riguardava l'estradizione, la Colombia sarebbe stata la nazione più sicura, ma quella era solo una delle sue preoccupazioni. Dopotutto, aveva fallito. Con quella maledetta cassetta o con la confessione, MacLaglen avrebbe rivelato il complotto per assassinare il presidente Winston organizzato dal cartello della droga. I tentativi di far cessare l'attività alla compañía si sarebbero intensificati.

Emilio Rojas non lo avrebbe di certo accolto a braccia aperte.

Probabilmente avrebbe dovuto trovare una nuova patria. Se ne sarebbe preoccupato in seguito.

Cercò il numero di telefono dell'aeroporto. La cosa migliore in quel momento era telefonare per assicurarsi che il jet fosse pieno di carburante e pronto per il decollo.

 

15

 

«Ehi, ecco le notizie», fece Poppy. «Lascia lì un momento.»

«I notiziari non mi piacciono», ribatté Katie. Puntava il telecomando contro il televisore del motel, con il pollice sui tasti. Era nel bel mezzo di uno zapping quando Poppy aveva scorto il titolo NOTIZIE PRINCIPALI su uno dei canali di Washington.

«Un minuto solo, tesoro. Voglio soltanto sentire una cosa.» Poppy si piegò in avanti per ascoltare meglio. La notizia principale sembrava essere l'improvviso ricovero del presidente Winston all'Ospedale navale di Bethesda, «per un controllo, prima di partire per un viaggio in Europa la settimana prossima».

«Guarda, è lo zio Tom», osservò Katie.

«Certo, tesoro. Lasciami ascoltare, d'accordo?»

Quella bella donna senza un capello fuori posto, Heather Nonsochi, che sembrava non avesse mai bevuto una birra, per non parlare di fumare uno spinello, comparve a fare pubblicità alla legalizzazione delle droghe.

 

Considerate ciò che abbiamo ottenuto educando la gente ai pericoli del fumo. Negli anni Cinquanta l'americano medio consumava quasi sei chili di tabacco l'anno. Adesso la media è di poco più di tre chili e diminuisce ancora. Eppure il tabacco può essere acquistato legalmente. Con i narcotici illegali si è verificata la tendenza opposta. La conclusione è ovvia: è più facile occuparsi dei problemi provocati da una droga legalmente ammessa ed educare il pubblico a evitarne l'uso di quanto sia possibile con una sostanza illegale. Impiegando come modello la campagna contro il fumo non vedo nessun motivo per cui non si possa ridurre, negli Stati Uniti, il consumo delle droghe legalizzate di una stessa percentuale.

 

Magnifico, pensò Poppy, proprio mentre ne sto uscendo.

La giornalista continuò a dar conto di proteste contro la depenalizzazione e terminò con un servizio a proposito del reverendo Whitcomb che invocava l'ira di Dio sulla testa del presidente Winston.

Accidenti. Niente, su un duplice omicidio a Falls Church.

Forse si era sbagliata, forse nessuno aveva chiamato la polizia. Voleva dire che Paulie poteva trovarsi disteso ancora là e vi sarebbe rimasto finché il padrone di casa non ci sarebbe andato per riscuotere l'affitto o qualcuno non avesse segnalato il fetore.

Poppy non riusciva a sopportare quell'idea. Se non avesse sentito niente neanche il giorno dopo, avrebbe fatto una soffiata alla polizia di Falls Church.

Certo, era probabile che l'assassinio di due illustri sconosciuti non potesse competere con tutto il casino provocato dal Presidente.

«Va bene», disse a Katie, «guarda pure quello che vuoi, adesso.»

Ma il canale rimase quello. Poppy guardò Katie e vide che due grossi lacrimoni le stavano rotolando giù dalle guance.

Le si avvicinò e le mise un braccio sulla spalla. «Che cosa c'è, piccola Katie?»

«Voglio andare a ca... a casa», fece lei.

Poppy la strinse più forte. «Lo so, tesoro.»

Ma io non voglio lasciarti andare, pensò. Paulie non c'è più, e adesso sei tu tutto quello che ho.

Ma sapeva che era necessario. Doveva solo escogitare un modo per farla ritornare dai suoi senza finire in prigione.

Poppy la strinse ancora. Forse poteva tenerla con sé un altro po', solo finché...

Si irrigidì, colpita da un pensiero orribile. La polizia non sarebbe stata la sola a cercare Katie. Non appena le persone per cui lavorava Mac avessero scoperto che lui era morto e il suo prezioso pacco non si trovava, si sarebbero messe anche loro alla ricerca della bambina.

E cercheranno anche me.

Non c'era possibilità di scelta. Per il bene di Katie, Poppy doveva farla tornare a casa quella sera stessa. All'improvviso provò il desiderio di mettersi a piangere. Non riusciva a credere quanto si fosse affezionata a quella ragazzina. Come se avesse riempito uno spazio vuoto dentro di sé, un vuoto che non sapeva nemmeno di avere. E quando Katie fosse tornata a casa, Poppy sapeva che avrebbe lasciato un vuoto ancora più grande, tanto grande che avrebbe potuto inghiottirla.

Accidenti, si disse, smettila di pensare a te stessa, per una volta. Katie non è tua e se resta con te le faranno del male o la uccideranno. Chi ci dà la caccia, chiunque sia, cerca una ragazza piena di anelli che si trascina dietro una bambina. Sarà meglio per entrambe se ci separiamo.

«Sai una cosa?» fece con la maggiore vivacità che riuscì a fingere. «Vedremo di trovare il modo di realizzare il tuo desiderio. Di riportarti dal tuo papà.»

Katie si raddrizzò e la guardò. «Davvero? Vado a casa?»

«Sì, tesoro. Vai a casa.» Katie le buttò le braccia al collo e strinse forte. «Oh, grazie! Grazie!»

Poppy fu sul punto di piangere. «Sentirò la tua mancanza, piccola Katie», disse tirando su con il naso.

«Non piangere», le disse la bambina. «Potrai venirmi a trovare. Giocheremo e ti farò vedere tutte le mie bambole.»

«Certo», fece lei cupamente. «Sarà magnifico.»

Non ti rivedrò mai più, piccola Katie...

Poppy si liberò dall'abbraccio e si alzò. Si asciugò gli occhi e disse: «Bene. Prima di tutto bisogna mettersi in contatto con il tuo papà. Non è che tu sappia il tuo numero di telefono, eh?»

Katie lo snocciolò in fretta.

«Sei una ragazza in gamba», le disse Poppy.

«Papà me l'ha fatto imparare a memoria, se mi fossi persa.»

Bene. E poi? Si chiese se fosse abbastanza in gamba da uscirne senza che la prendessero. Che cosa avrebbe fatto Paulie?

 

16

 

John rispose al primo squillo e sbatté quasi il ricevitore contro la parete della cucina, per la fretta. Non voleva svegliare la mamma.

«Il dottor VanDuyne?» Una voce maschile, bassa, dal tono ufficiale.

«Sì. Chi parla?»

«Sono il sergente James Waltham, del dipartimento di polizia di Falls Church. Ha una figlia che si chiama Katie, signore?»

Oh, no. Oh, mio Dio, per favore no!

Aprì la bocca ma non riuscì a parlare. Protese una mano alla cieca, trovò lo schienale di una sedia e vi si lasciò cadere.

Finalmente... «Sì?»

«Abbiamo trovato un flacone di compresse che, a quanto pare, le appartengono.»

«Compresse? E Katie? Avete trovato Katie?»

«Nossignore. Solo le sue compresse. Sa dove si trova sua figlia?»

«È stata...» No, non dirglielo. «In gita. Dove le avete trovate?»

«Sulla scena di un omicidio.»

«Un omicidio? Mio Dio! Non è lei...»

«Nossignore, la vittima non è lei. Ma abbiamo trovato qualche indumento da bambina, un'uniforme della scuola Sacra Famiglia e...»

«Oh, mio Dio!»

«Dov'è sua figlia, signore?»

«Senta, vengo subito. Mi dica dove si trova il posto e sarò lì tra un quarto d'ora.»

Il sergente Waltham compitò il proprio nome e diede a John l'indirizzo del dipartimento di polizia. Lui riagganciò e chiamò il numero privato di Decker. Gli ripeté ciò che gli era stato comunicato quasi parola per parola. «Che significa, Bob?»

«Adesso come adesso non sono in grado di fare una supposizione. Ma potrebbe trattarsi di un colpo di fortuna, per noi. Tu resta lì. Io andrò a vedere che cosa...»

«Neanche per sogno! Io so che vestiti aveva! Sono in grado di identificarli!»

Non si rendeva conto, Decker, che doveva vedere con i propri occhi quel blazer e quella tuta, toccarli, sentirli fra le mani?

«No. Resta lì. Potresti ricevere della posta elettronica...»

«Ti ho dato la password, la posta elettronica la puoi controllare tu. Io vado a Falls Church. Ci vediamo là!» E riagganciò.

Mentre John si avviava all'armadietto dell'ingresso per prendere una giacca, il suo cellulare iniziò a suonare. Lo afferrò.

«Il dottor VanDuyne?» Una voce di donna, questa volta, giovane ma roca. Due telefonate in fila con la stessa domanda. Ma chi aveva il numero del suo cellulare?

«Sì? Chi è?»

«C'è qualcuno che vuole parlarle.»

Un fruscio, un crepitio, poi la voce di una bambina. «Papà?»

John sapeva di chi era quella voce, ma per un attimo la sua mente si rifiutò di riconoscerla. Non era possibile, non poteva essere... doveva essere una specie di scherzo crudele...

«Papà, sono io, Katie...»

Allora la cucina si mise a girargli intorno, «Katie, mio Dio, Katie, sei tu?» Si rese conto di stare gridando, ma non riuscì a evitarlo. Pensava che sarebbe scoppiato per la gioia. «Sei proprio tu?»

«Sì, sì.»

«Dove sei? Come stai?»

«Bene.» 'Bene'... diceva sempre 'bene'... Quelle carogne le avevano tagliato un dito del piede e lei stava bene. «Vengo a casa.»

John si appoggiò contro la parete e cercò di evitare i singhiozzi. «Oh, Katie, quanto ho sentito la tua mancanza! Dove sei? Vengo a prenderti subito!»

«Adesso non è un buon momento.» La donna aveva ripreso la comunicazione. «Potrà riaverla stasera.»

John era confuso. Che cosa stava accadendo? Dov'era il tranello?

«Ma come... perché?»

«Diciamo che il vero rapitore è morto e io ho Katie con me e la restituirò. Ma non voglio finire in prigione, capito quello che intendo?»

...il vero rapitore è morto? Doveva riferirsi all'omicidio di Falls Church, dove avevano trovato le compresse di Katie... che cosa aveva passato, quella povera bambina?

«Vuoi dei soldi? Ti darò tutto quello che ho. Ti...»

«Non voglio i suoi soldi. Ho una bambina dolcissima che non vede l'ora di tornare dal papà, e farò in modo che il suo desiderio si avveri. Vieni alla Maryland House, sulla 95. Aspetta di sopra, vicino ai telefoni, verso le nove. Sarò lì insieme a Katie. E niente polizia, d'accordo? Facciamo in modo da uscirne tutti e due felici e contenti. Ci vediamo alle nove.»

«Un momento!»

Un altro crepitio e poi la voce di Katie: «Ciao, papà!»

Un clic, ed era sparita. Restò lì, con il ricevitore all'orecchio, cercando un eco della voce di Katie, senza sapere se ridere o piangere.

Infine si girò per riagganciare e vide la madre sulla soglia.

«Katie?» chiese, affondando le dita nel collo. «Era Katie?»

Lui riuscì solo ad annuire. Le buttò le braccia al collo e cominciò a singhiozzare.

«Ti ho sentito gridare», disse lei. «Sembrava che parlassi a...»

«È viva, mamma! Era lei! È viva, sta bene e la riavrò, mamma. Katie tornerà a casa stasera!»

 

17

 

L'agente Samson lo raggiunse nel parcheggio della Casa Bianca. Bob Decker stava aprendo lo sportello della propria auto quando lo vide correre sull'asfalto, agitando un foglio di carta. «Che cos'è, Tom?»

«Le intercettazioni di VanDuyne!» disse lui soffiando mentre raggiungeva l'auto. «Ho pensato che dovessi vederle.»

Bob scorse il foglio e non riuscì a trattenere un teso sorriso. Tutto il complotto stava crollando. Sembrava che qualcuno dei rapitori stesse mollando e che qualcun altro volesse salvarsi il culo.

«Da dove chiamava, quella donna?»

«Dal posto di cui parla per lo scambio... la Maryland House.»

«Che cos'è?»

«Un posto di ristoro sullo spartitraffico della 95. Sai, Servizio informazioni per turisti, hamburger, yogurt.» Si schiarì la gola. «Sembra un rapimento. Come mai siamo coinvolti...»

«Un amico di Rasoio», lo informò Bob.

Samson annuì. Non aveva bisogno di sapere altro, non ne avrebbe mai saputo di più. Controllava un'intercettazione e doveva trascrivere tutte le conversazioni. Oltre a ciò era all'oscuro di tutto.

«Ha telefonato al cellulare», lo informò. «Forse pensava che nessuno avrebbe potuto ascoltare. Sembra che non si rendano conto del pericolo che corrono.»

Bob annuì: ascoltava solo a metà. Era inutile mandare qualcuno alla Maryland House. Se ne sarebbe andata da un pezzo, prima che ci arrivassero. Meglio aspettarla la sera.

Si chiese se VanDuyne gli avrebbe riferito di aver ricevuto quella telefonata. Decise di stare ad aspettare. La donna aveva detto: niente polizia, e il dottore rivoleva indietro la figlia. Bene. L'avrebbe riavuta.

E Bob avrebbe preso la donna. Doveva avere a che fare con ciò che era accaduto nella casa di Falls Church dov'erano state trovate le compresse dalla bambina ed era probabile che sarebbe arrivato alle conclusioni prima della fine della settimana.

Immaginò la soddisfazione di andare all'Ospedale navale di Bethesda la sera del giorno dopo e dire a Rasoio che la figlioccia era salva e i cospiratori erano in prigione o in fuga.

Sarebbe stato bello, molto bello.

 

18

 

Poppy lo sentì infine nel notiziario delle diciotto...

Oggi, a Falls Church, un omicidio misterioso. Gli abitanti di una tranquilla strada suburbana hanno chiamato la polizia quando hanno udito degli spari. Nella casa, un morto. Ma la vittima, non ancora identificata, è deceduta per ferite da arma da taglio... Negli stessi paraggi, ad Alexandria...

In un certo modo, ascoltarlo al notiziario lo rendeva ufficiale. Paulie era morto. Poppy fu sul punto di mettersi a piangere, poi si trattenne. L'uomo non ancora identificato? Perché non «uomini»? In quella casa aveva lasciato due cadaveri. Paulie era stato accoltellato e Mac aveva una pallottola in testa. Come mai avevano parlato solo di Paulie?

A meno che... Fu colta da una fitta di paura, aguzza come la lama che aveva ucciso Paulie.

«Oh, Cristo!» esclamò balzando in piedi.

«Posso cambiare canale, adesso?» chiese Katie.

«Certo», le disse Poppy senza guardarla. Andò alla finestra e sbirciò da dietro il bordo della tenda. La leggera pioggerellina faceva luccicare il parcheggio. L'insegna dell'Holiday Inn si rispecchiava sulla superficie bagnata.

Un istante prima si era sentita tanto sicura. Aveva programmato ogni particolare. Quella sera lei e Katie sarebbero ritornate sulla 95, ma non si sarebbero fermate alla Maryland House. Quando avevano chiamato il papà di Katie, aveva annotato qualche numero dei telefoni del posto. Alle nove in punto avrebbe chiamato a uno di quegli apparecchi e avrebbe detto al padre che avrebbe trovato la figlia ad aspettarlo al Roy Rogers del prossimo posto di ristoro sull'autostrada senza pedaggio che continuava dalla Maryland House. Poi avrebbe lasciato Katie in un séparé con un hamburger e delle patatine fritte.

Se il papà di Katie era come le altre vittime di Mac, probabilmente non aveva denunciato il rapimento alla polizia. E anche se l'avesse fatto, tutti gli agenti si sarebbero trovati alla Maryland House. Lei se ne sarebbe andata da un pezzo, quando avrebbero trovato Katie.

A Poppy si sarebbe spezzato il cuore, ma la bambina sarebbe stata al sicuro, a casa con la propria famiglia, dov'era il suo posto.

Però non sarebbe stata in salvo, se Mac fosse stato ancora vivo.

Poppy vedeva ancora i suoi occhi quand'era uscito dalla cucina con quel coltello. Mi ha visto in faccia! Solo due persone erano in grado di collegare Mac al rapimento e all'assassinio di Paulie, ed erano entrambe in quella stanza. La sia pur minima probabilità che Mac fosse ancora vivo cambiava tutto.

Tutt'un altro paio di maniche, se Mac era sopravvissuto.

Ma come poteva essere? Gli aveva sparato in testa.

Doveva saperlo. Prima di prendere qualsiasi altra decisione doveva esserne certa.

Si rivolse a Katie. «Vado in fondo al corridoio a prendere una soda. Tu vuoi qualcosa?»

«Posso prendere una bibita?»

«Certo.»

«Papà non vuole mai.»

Papà, papà. Mai mamma. Poppy si costrinse a sorridere. «Be', io non sono il tuo papà. Torno subito.»

Era rischioso, lo sapeva, forse era una stupidaggine, ma non poteva rimandare. Attraversò in fretta il parcheggio, sotto la pioggerella, fino alla stazione di servizio della Shell e trovò un telefono a gettoni. Una chiamata all'ufficio informazioni le fornì il numero del dipartimento di polizia di Falls Church, e poco dopo stava parlando con un investigatore della Omicidi. Questi continuava a chiederle come si chiamava e lei sospettò che cercasse di trattenerla all'apparecchio. «Senta», gli disse, «lo dirò solo una volta: conosco il nome dei morti che avete trovato nella casa di Sylmar Street. Quello che è stato pugnalato si chiamava Paulie DiCastro. Quello ucciso con una rivoltella...»

«Un momento, un momento», l'interruppe l'agente. «Non hanno sparato a nessuno. C'è solo una vittima.»

Oh, no. Oh, Cristo, no. Sta mentendo.

«No. Lei sa benissimo che ce n'erano due! Tutto quello che posso dirle del tizio ammazzato con un colpo di arma da fuoco è che si chiamava Mac e che era il padrone della Jeep blu parcheggiata là davanti.»

«Che Jeep blu? Ha il numero di targa?» Poppy riagganciò.

All'improvviso la pioggerella era diventata gelata e la notte molto più buia. Rabbrividì e si guardò intorno, con l'impressione di essere sorvegliata.

Mac era vivo! Ma com'era possibile? L'aveva visto disteso sul pavimento con una pallottola in testa. In qualche modo era sopravvissuto.

Riattraversò di corsa il parcheggio, si nascose nella sua stanza e chiuse a chiave la porta.

Vide Katie seduta sul letto, con gli occhi incollati alla televisione. Come poteva restituire quella bambina al padre con Mac vivo e a caccia di loro due? Suo padre non avrebbe saputo proteggerla. Di Katie Mac sapeva abbastanza da essere riuscito a rapirla. Quanto tempo gli sarebbe occorso per trovare un fucile e piantarle in corpo una pallottola, la prima volta che usciva sulla soglia di casa?

Poppy rabbrividì. Katie non poteva assolutamente tornare a casa quella sera. Sperava che le informazioni che aveva fornito alla polizia di Falls Church li avesse indotti a dare la caccia a Mac. Ma finché non lo beccavano, la bambina sarebbe stata più sicura con lei.

Katie la guardò. «Non avevano bibite?»

Accidenti! Si era dimenticata della roba da bere. «Non ne ho viste. Vuoi che vada a prendere qualcos'altro?»

«Fa lo stesso. Prenderò la compressa con l'acqua.»

La compressa? Oh, Cristo! Ce l'ho, la medicina? Poppy prese la borsetta dal comodino e la vuotò sul letto. C'erano un po' di Valium, la patente, qualche banconota e degli spiccioli, ma non la medicina di Katie.

Corse fino all'armadio e tolse dalla gruccia il giubbotto di Mac. Forse aveva infilato il flaconcino in una delle tasche mentre se ne andava. Credeva di no, ma doveva controllare. Le vuotò tutte, trovò il portafoglio di Paulie, qualche moneta e una cassetta, che cadde per terra. Ma non il flaconcino di Katie.

Si accasciò sul bordo del letto e si torse le mani. Con tutto l'orrore, la confusione e il panico aveva dimenticato le compresse.

Cristo, che cos'altro poteva andare storto?

Si alzò e si mise a camminare su e giù per la stanza. Era il momento di prendere una decisione. Doveva procurarsi la medicina per Katie. Ricordava l'etichetta sul flacone: «Tegretol 100 mg». Se non riusciva a farselo dare non c'era altra scelta: Katie doveva tornare a casa. Un'eventuale minaccia da parte di Mac non sarebbe stata grave quanto quella assolutamente certa di un attacco, se non avesse preso una o due di quelle compresse.

Poppy doveva procurarsene qualcuna. Ma dove? Come?

Prese l'elenco del telefono e sfogliò le pagine gialle.

 

19

 

Carlos ascoltò la voce distorta che parlava forte nel ricevitore.

«Che razza di operazione stai conducendo, Salinas? Ho appena saputo che un flacone di compresse appartenente alla bambina è stato trovato in una casa di Falls Church in cui qualcuno è stato ucciso. Che diavolo sta succedendo?»

Carlos fissò il soffitto. Per favore, Dio, se mai farai qualcosa per me fa' questo, e subito.

«Un morto?» chiese. «È stato identificato?»

«Sì. Hanno ricevuto una soffiata e hanno controllato le impronte. Si tratta di un teppista da quattro soldi che si chiamava Paulie DiCastro.»

Grazie, mio Dio, pensò Carlos. Farò una grossa offerta alla chiesa.

«Nessun altro? Nessuna donna? Nessuna bambina?»

«Nessun segno di altre persone, ma stanno cercando. E intensamente. Perché ora questa faccenda è collegata all'altra. Meglio sgombrare il campo. E in fretta.»

La comunicazione si interruppe e Salinas riagganciò. Si rivolse ad Allen che stava riempiendo una valigia di documenti che prelevava da uno schedario.

«Credo che possiamo rilassarci per un attimo. Allen.»

«Rilassarci?» fece lui, con il viso più bianco del solito. «E come faccio?»

«Be', hai insistito per sapere i miei affari con MacLaglen, e adesso li sai.» Sorrise. «Non ti senti meglio?»

Quando Carlos aveva pensato che sarebbe dovuto fuggire aveva informato Allen del piano per dimettere dalla carica Winston. Dopotutto, doveva sapere la ragione per cui correvano all'aeroporto.

Lui non ricambiò il sorriso di Carlos. «Se vuoi dire 'te l'avevo detto', fa' pure. Ma adesso, se non ce ne andiamo di qui...»

«Calmati. MacLaglen non è morto. È ancora vivo ed è libero.»

Allen lo fissò. «Ne sei certo?»

«La mia fonte.»

Allen si avvicinò barcollando a una poltrona e vi si accasciò.

«Che sollievo! Ma perché non ci richiama?»

«Questo non lo so. È successo qualcosa. Forse una lite. Magari sta cercando un nuovo nascondiglio per la bambina. O, ancora meglio, un posto per sbarazzarsene. Continua a provare a metterti in contatto con lui. Prima o poi risponderà.»

Carlos era d'accordo con la voce al telefono: era ora di chiudere bottega.

 

20

 

«Vede, ho un problema con mio nipote», disse Poppy al farmacista, con voce tanto bassa che lui dovette piegarsi in avanti per capirla. «Mi è venuto a trovare e in camera sua ho trovato queste compresse. Non che non mi fidi di lui, ma mi sono chiesta: 'Che cosa sono?' Lei capisce...»

Il farmacista annuì, continuando a guardarla da sopra le lenti. A quanto pareva quel vecchio non riusciva a staccare gli occhi dall'anello che portava al sopracciglio. Viveva forse in una caverna? Non ne aveva mai visto uno prima?

Per più di un'ora aveva guidato con le pagine gialle in grembo, controllando un drugstore dopo l'altro. Finalmente si era decisa per uno piccolo ma con una grande vetrina anteriore, che si chiamava Doc's Pharmacy, lungo una traversa della strada principale, in un palazzo che sembrava costruito ai tempi che Berta filava.

«Sarò lieto di identificarle per lei», disse il farmacista come se gli facessero di continuo quel genere di domande. Forse era «Doc» anche lui, ma più probabilmente il Doc originale era suo nonno. Un po' burbero, ma si stava avvicinando l'ora della chiusura e sembrava che non vedesse il momento di andarsene a casa. «Me ne dia una e controllerò.»

«Il fatto è che non ne ho. Ce ne era solo una, nel flacone, e ho pensato di non potergliela portare via. Ma ricordo il nome sull'etichetta. Diceva 'Tegretol 100 mg'. È roba nociva? Voglio dire una specie di droga?»

«Suo nipote soffre di convulsioni?»

«Vuole dire di attacchi?»

«Sì, suppongo che li possa chiamare così. Il Tegretol viene usato proprio per, ehm, gli 'attacchi'.»

«Non lo so. Mia sorella non me ne ha mai parlato e adesso è in viaggio e non posso mettermi in comunicazione con lei per chiederglielo. Se potesse farmi vedere una compressa...»

Lui sospirò. «Certo. Aspetti qui.»

Poppy lo osservò mentre andava vicino agli scaffali sul retro e tornava al banco con un flacone di plastica bianca. Fece cadere qualche compressa in un vassoio e gliene diede una. «È questa?»

Poppy alzò alla luce la preziosa compressa, ma restò con gli occhi fissi sul flaconcino posato sul banco a una trentina di centimetri. Tanto vicino. Così tentante.

Avrebbe solo dovuto allungare un braccio, afferrarlo e correre fuori.

E forse l'avrebbero presa subito.

Troppa gente in giro, troppo traffico per la strada. Non poteva rischiare. «Sì», confermò. «Sono queste. Me ne può vendere qualcuna?»

«No, senza ricetta.»

«Ma gliene è rimasta solo una.» Poppy fece scivolare sul banco un biglietto da venti. «Solo un paio, per tenerlo a posto finché non riesco a mettermi in contatto con mia sorella?»

Il farmacista scosse la testa. «Mi piacerebbe aiutarla, ma è illegale.»

Discussero per lungo tempo, ma quel vecchiaccio non si spostò di un millimetro. Le diede tutta una serie di consigli che avrebbero funzionato perfettamente se la sua storiella fosse stata vera, ma non aiutarono Poppy neanche un po'.

Proprio quando lei arrivò al culmine della disperazione, tanto da essere disposta ad afferrare il flacone e a fuggire, lui avvitò il coperchio del flacone e le porse la compressa che aveva in mano.

«Può prendere questa», le disse. «Forse le concederà un po' di tempo in più.»

«Grazie. Che cosa le devo?»

«Lasci perdere. Comunque non posso vendere il flacone, una volta manomesso.»

Poppy si alzò in punta di piedi e osservò dove andava, annotando mentalmente la sezione degli scaffali sul retro in cui l'aveva messo.

Poi guardò la compressa che aveva in mano. Almeno Katie non avrebbe dovuto passare la notte senza medicina.

Quel vecchio era stato carino. Quasi le dispiaceva, quello che avrebbe dovuto fare.

 

21

 

John uscì dalla 95 ed entrò a motore spento nel parcheggio della Maryland House. Trovò un posto sotto un lampione e guardò il grande edificio di mattoni in stile coloniale, accovacciato su un'altura a circa quarantacinque metri di distanza. Le gocce di pioggia sfavillavano per le luci che splendevano dalle sue finestre.

Guardò l'orologio: segnava le otto e trentacinque. Era presto, ma l'anticipo non sarebbe mai stato troppo per una cosa del genere.

Rimase in auto e rabbrividì. Non per la pioggerella, perché là dentro stava al caldo e all'asciutto. Il freddo proveniva dall'interno.

Qualcosa era andato terribilmente storto, in quella casa di Falls Church in cui avevano tenuta prigioniera Katie... tanto che un uomo era stato pugnalato a morte.

E se qualcos'altro fosse andato storto quella sera e Katie fosse rimasta ferita? Alla stazione di polizia John aveva identificato i suoi indumenti. Sarebbe stato male per la preoccupazione che qualcuno l'avesse molestata sessualmente, se non avesse udito la sua voce un'ora prima. Era sembrata molto normale, quasi felice. Ne era stato contento, ma non riusciva assolutamente a capire. Era stata rapita, le era stato amputato il dito di un piede, avrebbe dovuto sembrare persa, scioccata, incoerente, e invece era sembrata vivace, esuberante, proprio come un tempo. Come aveva detto Katie stessa: «Stava bene». Come se fosse uscita una sera con la zia preferita, invece che con la sua carceriera.

Santo cielo, chi era la donna che aveva telefonato?

Aveva percepito qualcosa nella sua voce, una preoccupazione sincera per Katie. Si augurò di avere ragione.

E si augurò di avere fatto la cosa giusta, a non riferire a Decker della telefonata di Katie.

«Penso che lo scoprirò presto, vero?» si disse ad alta voce mentre scendeva dall'auto nell'aria umida e andava in cerca dei telefoni.

 

22

 

«Eccolo che arriva», osservò Gerry Canney.

Bob Decker aveva parcheggiato nella sezione sud. Strinse gli occhi per guardare attraverso il parabrezza gocciolante e vide VanDuyne procedere sotto la pioggia verso la Maryland House. Ottima l'illuminazione, fra le lampade al mercurio e il riflesso dell'insegna fluorescente della stazione di servizio alle loro spalle.

Sbadigliò. Una giornata lunga e dura, ma non si sentiva affatto stanco. Era piuttosto nervoso, pieno di eccitazione e di preoccupazione.

«I tuoi sono appostati?»

Canney fece per rispondere, poi alzò una mano mentre suonava l'auricolare del suo walkie-talkie. Estrasse il proprio microtelefono.

«Buon lavoro, Trevor», disse. «Tienila d'occhio.»

Bob si irrigidì. «L'abbiamo individuata?»

«È la moglie di VanDuyne. L'ha seguito dalla casa di lui. Le ho messo alle costole un agente che si chiama Trevor Hendricks. Una volta era pilota acrobatico. Quando sono arrivati a pochi chilometri da qui lui l'ha bloccata dietro qualche macchina particolarmente lenta finché VanDuyne non è stato fuori di vista. Si trova ancora sulla 95, a nord di qui, e continua a cercare di raggiungerlo.»

Bob sorrise. «Bel lavoro. Mi piace.»

VanDuyne gli aveva riferito della moglie e di come gli facesse ogni genere di domande imbarazzanti su dove si trovasse Katie. L'avvocato del dottore gli aveva inviato parte del dossier del tribunale su Marnie VanDuyne... una signora molto confusa, mentalmente. Bob aveva detto a Canney di mettere qualcuno anche dietro a lei. Aveva fatto bene.

Alzò lo sguardo verso le luccicanti finestre della Maryland House, un grande palazzo di mattoni, in stile coloniale, posto su una piccola altura al di sopra dei parcheggi. Con i grandi camini e le finestre dai vetri a pannelli sembrava un palazzo patrizio decaduto che tollerasse i turisti per coprire le spese... finché non si individuavano le insegne dei locali per mangiare e divertirsi.

Un luogo pieno di fermento, con viaggiatori di tutte le età, di tutte le forme, di tutte le dimensioni, di tutti i colori della pelle, che si precipitavano dentro e fuori; con gli autobus turistici che li vomitavano a orde, anche a quell'ora.

«Un posto stupefacente, dentro», osservò Canney. «I telefoni sono al secondo piano, con una banca e un servizio di fotocopie e di fax. Sembra più un ufficio, che un posto di ristoro.»

«Che cos'hai detto ai tuoi?»

Canney si strinse nelle spalle. «Solo ciò che devono sapere, niente di più. Hanno tutti le foto di Katie e di VanDuyne. Sanno che si tratta di un rapimento e forse, si spera, della restituzione della vittima.»

«Esatto. Si spera.»

Canney si girò verso di lui. «Pensi anche tu quello che penso io?»

Bob annuì. «Che sia una trappola? Sì. È un'ipotesi ragionevole, specie dopo quel cadavere a Falls Church. DiCastro doveva essere implicato. Voglio dire, le impronte della bambina sono dappertutto, nella camera da letto, nel bagno e nel soggiorno. È stata là. Quello che non capisco è che eravamo tanto sicuri che fosse un'operazione del cartello, eppure questo DiCastro non è collegato con il mondo della droga.»

«Almeno per quanto ne sappiamo», osservò Canney.

«Giusto. Comunque non è il tipo in cui mi aspettavo di imbattermi. Forse il cartello non c'entra. Ma con il Presidente che si è ricoverato a Bethesda oggi, chiunque vi sia dietro può ritenere che VanDuyne abbia concluso il suo lavoro. Ciò toglie qualsiasi valore sia a lui sia alla figlia.»

«Peggio ancora», ribatté Canney. «Non servono più a niente. Anche DiCastro non serviva più a niente, e guarda che fine ha fatto.»

«Sì», ammise Bob, augurandosi che VanDuyne non lo conoscesse. Gli sarebbe piaciuto gironzolare lui stesso per la Maryland House. «È questo che mi preoccupa.»

 

23

 

Poppy passò tre volte davanti alla farmacia, finché non fu sicura che le strade fossero deserte. Non sapeva nemmeno come si chiamava quella città. Ma che diavolo, erano solo le undici e mezzo di sera e sembrava che fossero già tutti a letto.

Parcheggiò il furgoncino al buio, dietro l'angolo del negozio, e prese gli attrezzi che aveva comprato in una ferramenta: una lampada tascabile, due mattoni e una mazza da baseball. Lasciò i barattoli di vernice a spruzzo sul pavimento del veicolo. Contorcendosi sul sedile, infilò il giubbotto di Mac e mise un mattone in una tasca e la lampada nell'altra. Si infilò sulla faccia la gamba tagliata da un collant e nelle mani un paio di guanti da lavoro; poi con una afferrò l'altro mattone e con l'altra la mazza. Pronta.

Ma non riuscì a muoversi. Il cuore le batteva tanto forte che le sembrava di vibrare tutta. Rimpianse di non essere più in gamba, di non sapere escogitare un altro mezzo per ottenere la medicina. Ma che cos'altro poteva fare? Bisogna accontentarsi di quello che si ha.

Adesso non posso tornare indietro, pensò. Devo entrare, uscire e tornare da Katie.

Povera bambina. Poppy le aveva trovato una bibita e vi aveva schiacciato dentro un Valium. Ora si era profondamente addormentata, laggiù al motel. Le era dispiaciuto moltissimo lasciarla sola, ma era chiusa a chiave e al sicuro... ammesso che esistesse un posto sicuro, con Mac che dava loro la caccia.

Il mattino dopo Katie si sarebbe svegliata un po' intontita e Poppy avrebbe dovuto raccontarle una bugia, dirle che aveva continuato a dormire proprio quando avrebbe dovuto tornare dal papà, ma che era lo stesso perché presto avrebbero organizzato un altro appuntamento.

Giusto. Presto. Solo che Poppy non avrebbe detto quanto presto.

Almeno Katie avrebbe avuto il suo Tegretol. Lo sperava.

Forza, si disse. Lasciando il motore acceso, scese e si portò di corsa sul davanti del drugstore. La velocità era essenziale. Gettò il primo mattone contro la metà inferiore della vetrina con tutta la forza che aveva. Il vetro andò in frantumi, lasciando una larga apertura e facendo scattare un allarme assordante. Dovette combattere contro la tentazione di fuggire. Invece estrasse il secondo mattone. L'apertura era abbastanza grande per potervi passare attraverso, se si accovacciava; ma con la fortuna che si ritrovava il vetro poteva cadere proprio in quel momento. Probabilmente le avrebbe tagliato la testa. Quindi lanciò il secondo mattone più in alto, facendo crollare la maggior parte della vetrata. Impiegò la mazza per togliere alcune schegge aguzze, poi entrò.

Con la lampada accesa per vedere dove andava, saltò fino al pavimento, corse verso la parte posteriore, volteggiò sopra il banco e trovò il flacone di Tegretol proprio dove l'aveva lasciato il farmacista. Tanto per confondere le cose, rovesciò tutto quello che trovò a portata di mano sugli scaffali, poi tornò in fretta alla vetrina. Saltò sul marciapiede, corse sino all'auto e si allontanò a luci spente.

Respirava affannosamente, sudava, tremava per la paura e per l'eccitazione mentre si guardava intorno in cerca di luci rosse lampeggianti.

Nessuna in vista.

Fino a quel momento, tutto bene. Concedetemi solo un paio di minuti ancora prima che...

Luci lampeggianti, rosse e blu, comparvero lontano, sulla strada che stava percorrendo. Si accostò al marciapiede e si accovacciò per non essere vista, tremando nell'attesa.

Cominciò a recitare una specie di mantra: «Non mi hanno visto... non mi hanno visto...»

Qualche istante dopo un'auto di pattuglia le sfrecciò accanto, con la sirena spenta. Appena fu passata lei alzò la testa e attese che il veicolo girasse l'angolo che portava al drugstore con grande stridore di gomme. Poi riprese a muoversi, sempre a luci spente, accelerando con grandissima cautela in modo da non attirare l'attenzione.

Presto fu lontana dal negozio un chilometro e mezzo, poi tre. Accese le luci. Quanto tempo le aveva preso tutta la faccenda, dal primo mattone al momento in cui si era allontanata? Un minuto e mezzo?

Paulie ci avrebbe messo meno, l'avrebbe fatto meglio, ma ciò che importava davvero si trovava sul sedile accanto a lei: un flacone intero di Tegretol.

«Non è stata una bella cosa», osservò ad alta voce, «ma ha funzionato.» Diede un colpo al cruscotto e rise. «Ha funzionato!»

Siamo a posto, Katie, pensò mentre accelerava per tornare al motel. Adesso possiamo restare insieme finché vogliamo.

 

24

 

«Eccolo che torna», annunciò Canney.

Bob Decker guardò l'orologio. L'una e ventotto. Si girò sul sedile per dare sollievo alle articolazioni irrigidite e vide VanDuyne che scendeva la rampa della Maryland House. Una persona diversa dall'uomo che era salito agilmente cinque ore prima. «Poveretto.»

«Sì. Te lo assicuro, sono contento di non esserci stato io, lassù. Non so se avrei potuto resistere a guardarlo mentre aspettava per tante ore una telefonata che non è mai arrivata. Ti strappa il cuore.»

Bob lo fissò. «Ti stai immedesimando in lui, Gerry?»

«Non posso evitarlo. Se fossi io a! suo posto e se fosse di Martha che aspettassi di avere notizie... E sai qual è la cosa peggiore? Potremmo essere stati noi, la ragione per cui non ha riavuto indietro la figlia.»

Bob annuì. Ci aveva già pensato. «Credi che ci abbiano individuato?»

«È possibile. Forse chi stava per restituire la bambina si è accorto di qualcosa e si è spaventato.»

«O forse si è spaventata la squadra dei sicari.»

Canney non rispose subito. Osservarono entrambi l'auto di VanDuyne uscire dal parcheggio e avviarsi verso la 95 in direzione sud.

«Un'idea sensata», rispose infine. «Non faccio che dirmelo. In continuazione. Tra poco lo crederò davvero.»

Bob conosceva quella sensazione. Per un'ora aveva continuato a ripetersi che forse quella sera avevano salvato la vita a VanDuyne.

E allora, perché si sentiva un buono a nulla?

 

Domenica

 

1

 

Un'altra conseguenza della guerra contro la droga è stata la rapida espansione dell'Aids. Poiché non permettiamo ai tossicomani che si iniettano la droga per via endovenosa di acquistare legalmente aghi sterilizzati, essi impiegano quelli già usati. Questa è la ragione per cui il quarantaquattro per cento dei nuovi casi di Aids sono correlati al consumo di droga. «Gli sta bene», potrebbe affermare qualcuno; ma quelle persone trasmettono il virus a coloro con i quali hanno rapporti sessuali, che di conseguenza diffondono ancora di più l'Hiv nella comunità eterosessuale e a tutti i bambini che nascono da questi contatti. I bambini nati con l'Aids sono le vittime civili della guerra della droga.

 

Guardateci, pensò John. Siamo un quadro di Hopper.

Si immaginò di essere un estraneo in piedi sulla soglia della cucina, a contemplare la scena. Nana era seduta a un capo del tavolo rettangolare, per metà girata nella direzione opposta, con gli occhi fissi sul televisore. Stavano trasmettendo Meet the Press, ma lui dubitava che la madre vedesse Tim Russert o udisse una parola di ciò che Heather Brent stava dicendo. John era seduto all'altra estremità e fissava il cortile posteriore e le finestre da cui il sole entrava senza scaldarlo. Due persone nella stessa stanza, unite solo da un vincolo di sangue. Vivida luce ed estraniazione. Edward Hopper avrebbe colto immediatamente l'occasione per comporre una delle sue scene.

Ma quella era solamente l'apparenza.

In realtà lui e la madre si erano commiserati a vicenda fino a tardi, quella notte, avevano diviso tanta sofferenza che la pura e semplice spossatezza emotiva e fisica esigeva che per un poco si ritirassero in se stessi. Una pausa.

Che scopo avevano avuto a mandarlo alla Maryland House, la sera prima? Uno scherzo crudele? Quell'incubo era iniziato per ragioni politiche (cacciare Tom dalla Casa Bianca), quindi aveva assunto un tono quasi personale. Che cosa avevano ottenuto, oltre che infliggergli una sofferenza psichica?

Era stata davvero una tortura, una incontenibile sofferenza, aggirarsi in quel posto di ristoro, esaminare a fondo ogni viaggiatore che si affrettava verso i bagni o acquistava uno yogurt, imprecando contro chi usava un telefono per il timore che i rapitori stessero cercando di chiamarlo proprio con quell'apparecchio.

E con il trascorrere delle ore le sue speranze si erano affievolite, passando da una crescente incertezza alla desolante evidenza che Katie non sarebbe tornata da lui. Ci aveva così creduto! La donna che aveva telefonato era sembrata sinceramente preoccupata per la bimba. Aveva cambiato idea? O peggio... una persona collegata con il complotto era già morta... era andato storto qualcos'altro?

E se anche fosse andato tutto liscio, se anche Katie e quella donna fossero state al sicuro in un'altra casa di un'altra città, sua figlia non aveva il Tegretol. Avevano contato le compresse nel flacone trovato a Falls Church, ed era risultato che ne mancavano solo poche.

John sospirò. Quella era un'altra cosa che aveva nascosto a Nana, ma che si spalancava davanti ai suoi occhi come un pozzo senza fondo: in quello stesso momento Katie poteva essere in preda alle convulsioni.

Il telefono squillò e John corse a rispondere. Buone notizie? Cattive? L'apparecchio era come un'arma carica: portare all'orecchio il ricevitore era giocare alla roulette russa.

«Buone notizie, Doc, almeno credo.»

Bob Decker. John pensò che avrebbe dovuto chiedere chi parlava, se non l'avesse riconosciuto. L'agente tendeva a non badare troppo ai convenevoli, ma John apprezzava il suo comportamento pratico.

«Davvero lo credi?»

«Sì. Si tratta del dito del piede.»

Sembrava un po' incerto, e non poteva essere un buon segno. John lanciò un'occhiata alla madre, che si era raddrizzata sulla sedia, in ascolto. Liquidò con un cenno il suo sguardo interrogativo e coprì il ricevitore. «Solo un aggiornamento», le disse. «Nessuna novità.»

Lei non sapeva ancora niente, del dito del piede e lui voleva che le cose restassero così. Con la maggior disinvoltura possibile tirò il cordone del telefono e girò l'angolo per portarsi nel corridoio. Poi si appoggiò alla parete, preparandosi. «Che cosa c'è?»

«Non è di tua figlia.»

«Che cosa?» John non sapeva se ridere o piangere.

«Una faccenda straordinaria. Ho parlato già due volte con il laboratorio criminale dell'FBI. Dicono è pieno di liquido per imbalsamare.»

«Per imbalsamare?» Doveva parlare a bassa voce... solo un sussurro. «Ma c'era del sangue fresco. L'ho visto io stesso.»

«Hai ragione, e il gruppo corrisponde a quello di tua figlia, ma...»

«Un momento. Come fai a conoscere il suo gruppo sanguigno?»

«Le cartelle cliniche dell'ospedale... quando ha subito quella ferita al capo.»

«Ah. Giusto.» Naturalmente dovevano aver condotto ricerche approfondite su Katie, per cercare di scoprire tutte le informazioni che la riguardavano.

«Comunque, il laboratorio è certo al cento per cento che il sangue sul dito non proviene da quello, che è privo di vita da giorni.»

John tirò il fiato. Grazie a Dio aveva parlato con Katie il giorno prima. Se non l'avesse fatto si sarebbe convinto che la figlia fosse morta.

«È assurdo!»

«È evidente. Ma la faccenda è ancora più strana. Il dito appartiene a un ragazzo.»

«Un ragazzo? Come diavolo hanno fatto a capirlo?»

«Hanno fatto un esame del DNA. Hanno trovato un cromosoma Y.»

John cercò di rallentare i pensieri che gli turbinavano nella mente, cercò di afferrare qualche elemento coerente. Un cromosoma Y... le femmine non lo possiedono, quindi il dito non poteva appartenere a Katie. «Non c'è possibilità di errore?» chiese.

«Questo è quanto mi hanno detto. I ragazzi del laboratorio mi hanno riferito di avere controllato e ricontrollato: il sangue è XX, ma le cellule del dito sono XY.»

John si morse il labbro. Avrebbe desiderato prendere a pugni la parete e mettersi a piangere. Ma la confusione impediva il sollievo.

Perché mandare il dito di un ragazzo morto? I rapitori erano ovviamente delle carogne assassine... il cadavere insanguinato nella casa di Falls Church ne era la testimonianza... eppure avevano corso il rischio di mandare un dito finto piuttosto che tagliarne davvero uno a Katie...

«Secondo te è ragionevole tutta questa faccenda, Doc?»

«No, non riesco a immaginare...»

«Neppure io. Sei sicuro di non poterci aiutare?»

«Che cosa intendi dire?»

«C'è qualcosa che non ci hai detto?»

John si irrigidì. Sospettavano che l'avessero contattato? L'avevano seguito, la notte scorsa? Era stato tentato di dire a Decker di avere parlato con Katie, il giorno prima, ma la donna era preoccupata che l'arrestassero. E se qualcuno della squadra di Decker l'avesse seguito e l'avesse fatta scappare per la paura?

Accidenti a te se le cose stanno davvero così, pensò. Potrei non avere un'altra possibilità. «No. Ti ho detto tutto quello che so. E non ho più sentito una parola da parte di Snake.» Vero... tutto vero.

Una pausa, prima che Decker rispondesse. «Bene. Ma diccelo subito, se vieni a sapere qualcosa. Ogni particolare potrebbe essere importante.»

«Certo. Ma adesso che cosa succede?»

«Ho una riunione con la nostra piccola unità operativa fra circa un'ora. Ti terrò informato.»

Mentre riagganciava, John si chiese: era solo frutto della sua immaginazione, o Decker aveva sottolineato in modo particolare il «ti»?

Che cosa gliene importava, accidenti? Era preoccupato per Katie. Dov'era? Che cosa le stavano facendo?

 

2

 

«Ma voglio andare a casa! Voglio vedere papà!»

Poppy osservò Katie sporgere il labbro inferiore. Sembrava che stesse per mettersi a piangere. Non poteva sopportare il pensiero che era stata lei a provocare quelle lacrime.

«Ci andrai, tesoro», le disse abbracciandola. «È andata come ti ho detto, ieri ti sei addormentata e non ho voluto svegliarti. Ma sai una cosa? Gli telefoniamo un'altra volta, oggi, e parlerai con lui. Va bene?»

Katie annuì. «Va bene.»

«Magnifico. Come ti senti?»

«Bene.» Quella mattina la povera bambina era un po' intontita a causa del Valium. Era stata un'ottima cosa, che Katie fosse «partita» la sera prima, perché dopo essere andata a letto vicino a lei Poppy aveva cominciato a pensare a Paulie e la bambina l'avrebbe sentita piangere fiumi di lacrime. Era la cosa più bella che le fosse mai capitata, ed era morto. Ed era stata colpa sua, perché l'aveva indotto a infrangere le regole di Mac. Se avesse tenuto la bocca chiusa, accidenti...

Ma in quel caso, che cosa sarebbe successo a Katie?

Perché la vita doveva essere tanto complicata?

Be', sì, forse avrebbe potuto essere semplice, se non si fossero trovati coinvolti con Mac.

Poppy si era tenuta stretta a Katie per tutta la notte. Non sapeva come avrebbe fatto a resistere fino alla mattina, senza di lei.

L'alba era sorta grigia e nuvolosa, ma si erano rianimate entrambe dopo un paio di focaccine dolci comperate nel locale dall'altra parte dell'autostrada senza pedaggio. E tornate nella loro stanza, lei avrebbe desiderato trovare qualche cartone animato per distrarre Katie; ma tutte le stazioni erano piene di mezzibusti che, se non blateravano contro la legalizzazione delle droghe, facevano supposizioni sulle ragioni del ricovero in ospedale del Presidente. Come se importasse a qualcuno.

«Come mai hai le mani tutte rosse?» chiese Katie.

Poppy se le guardò. Unghie nere e dita rosso sangue. Stranissimo.

Si alzò e si avvicinò alla finestra. «Vieni qui e te lo faccio vedere.» Tirò la tenda. «Guarda il furgoncino.»

Katie premette il viso contro il vetro. «E nero!»

Come un carro funebre, pensò Poppy.

«Certo. L'ho verniciato io ieri sera.»

L'aveva portato sul retro del motel e l'aveva parcheggiato accanto al capannone di un magazzino. Là, lontano da occhi indiscreti, aveva vuotato un barattolo dopo l'altro di vernice a spruzzo. Le dolevano ancora le dita. Certo non era carino, accidenti, ma chiunque avesse perlustrato le autostrade alla ricerca di un furgoncino bianco avrebbe probabilmente trascurato quello. Almeno lo sperava.

Poppy lasciò cadere la tenda e guardò la stanza del motel. Non potevano restare lì... Aveva fatto addebitare il conto a una delle carte di credito di Mac, pensando che fosse morto. Ma non era morto. E se avesse avuto modo di rintracciarla attraverso le carte di credito?

Dovevano andarsene di lì. Ma prima era necessario fare qualche cambiamento.

«Bene», propose Poppy. «Allora giochiamo. Che cosa ne diresti...» simulò di essere indecisa. «Oh, non so... per esempio a far finta?»

Katie aveva ormai dimenticato il broncio di poco prima. «E che cosa dovremmo fingere?»

«Vediamo... perché non fingiamo di essere dei ragazzi? Non sarebbe divertente?»

«Ragazzi?» Katie non ne pareva molto sicura. «Come possiamo fare?»

«È facile. Cambiamo la pettinatura e gli indumenti e ci comportiamo come degli scemi. Sai...» Poppy fece una smorfia. «Boh!»

Katie scoppiò a ridere. «Boh! È facile.»

«Ma dobbiamo sembrare dei ragazzi.»

Un sorriso ancor più largo. «Vuoi dire vestirci con abiti da ragazzi?»

«Esatto! E tagliarci i capelli.»

Katie si portò le mani alla testa e il suo sorriso svanì. «Tagliarmi i capelli? Oh, non...»

«Sì, li taglieremo, li tingeremo, li pettineremo in modo diverso. Sarà divertentissimo!»

Ma Katie non era convinta.

Deve accettarlo, pensò Poppy. Ho cambiato il colore del furgoncino, cambierò anche la targa e il motel, ma se vogliamo sopravvivere tutte intere devo cambiare anche «noi». Si era fermata in un negozio a comprare tutto l'occorrente. Doveva persuadere Katie.

«Guarda», disse prendendo un paio di forbici. «Faccio io per prima.»

Si afferrò una ciocca di capelli e cominciò lentamente a tagliare.

 

3

 

Nel piccolo ufficio del W-16 Dan Keane ascoltava con crescente orrore Gerry Canney che aggiornava l'unità operativa sulle indagini del laboratorio criminale dell'FBl.

«E ora la scoperta più recente: sulla moquette della casa di Falls Church hanno trovato sangue di due gruppi diversi. Entrambi freschi. Uno appartiene al morto, Paulie DiCastro; l'altro non è stato identificato, ma di certo non appartiene a Katie VanDuyne.»

Sta saltando fuori tutto, pensò. Avrebbe voluto fuggire da quella stanza.

Intervenne Decker. «Bene. Adesso, dal Regno Unito, Jim dice che la CIA ha trovato il provider anonimo che ha usato quello Snake.»

Jim Lewis si schiarì la gola. «Si chiama Steve Fletcher, ma si rifiuta di confessare dove nasconde il computer. La soluzione più facile sarebbe seguirlo e rubarglielo. Poi esaminiamo il disco fisso e troviamo l'indirizzo di posta elettronica di Snake. Deve avere aperto un conto con un server privato, per entrare in Internet, e lo individuiamo tramite quello. Ma rubare il CPU significherebbe chiudere il server e interrompere qualsiasi comunicazione da parte di Snake. Quindi stiamo lavorando con i Servizi segreti britannico per fare pressioni su Fletcher in modo che ci dia quell'indirizzo. Se ci sembra che questo sistema comporti troppe lungaggini burocratiche abbiamo altre possibilità.»

«Per esempio?» chiese Decker.

«Lo spiegherò se e quando sarà il caso.»

Dan si raddrizzò. Se possono risalire a Salinas tramite Snake, siamo fregati. Se la malattia di Winston fosse col legata ai cartelli della droga, la depenalizzazione non avrebbe più ostacoli!

Decker annuì. «Giusto.» Poi si rivolse a Dan: «E infine, che cosa ha trovato la DEA?»

Dan si leccò le labbra secchissime. La verità era che aveva finto di darsi da fare ma non si era spinto molto avanti. Quello però non poteva dirlo a Decker.

«Teniamo gli orecchi aperti. Non ho parlato specificatamente di rapimenti o di complotti di assassinio, ma ho dato istruzioni di controllare presso tutti gli informatori quali sono le reazioni dei trafficanti e del cartello alla minaccia di depenalizzazione.»

«E allora?»

«Ancora niente.»

Era vero. Troppo presto per sentire qualche cosa di sostanzioso, ma il poco che stava arrivando era negativo. Salinas aveva fatto un bel lavoro, ma sembrava che avesse ingaggiato un gruppo di dilettanti per realizzarlo.

«Bene», fece Decker. «Le cose stanno così. Abbiamo moltissimi indizi, moltissime nuove informazioni, ma anche un sacco di nuove domande, accidenti. Se il dito che ha ricevuto VanDuyne non è di sua figlia, di chi è? O piuttosto, di chi era? Perché mandare il dito di un altro? Sappiamo che Katie è stata nella casa di Falls Church, almeno per un po', ma adesso dov'è? E perché è stata spostata? Perché in quella casa è stato assassinato un teppista di piccolo calibro come Paul DiCastro? Faceva parte dell'operazione sin dall'inizio o cercava di intrufolarvisi? A chi appartiene l'altro sangue trovato sulla moquette? A un altro dei rapitori o a un estraneo? E dove si trova questo ferito? Si tratta di un'operazione in grande stile oppure no? I rapitori hanno avuto un animato litigio? Chi è la donna che ha telefonato a VanDuyne e gli ha offerto di restituirgli la figlia, senza alcun riscatto, per poi non farsi vedere? Che diavolo sta succedendo?»

«Proprio così, maledizione», intervenne Canney. «È il sequestro di persona più strano che abbia mai visto o di cui abbia sentito parlare. Un momento sembra un'operazione altamente sofisticata, quello dopo pare opera di un dilettante.»

Hai capito bene, pensò Dan. Ma Carlos Salinas è un professionista. Forse alcune delle persone che ha ingaggiato possono avere combinato qualche pasticcio, ma proprio in questo momento sta sistemando tutto.

Si costrinse a rilassarsi. Sarebbe andato tutto bene. Salinas avrebbe ripreso presto il controllo della situazione, se non l'aveva già fatto. Non avrebbe lasciato la minima traccia.

 

4

 

«Dov'è?» Carlos batté i pugni sulla scrivania.

«Potrebbe essere ovunque», osservò Allen. «Abbiamo sorvegliato la casa, quindi sappiamo che non è là. Dobbiamo aspettare che telefoni.» L'esperto in Economia sembrava agitato e Carlos ne era contento. Che abbia pure paura di me. Che sia spaventato non solo per i suoi guadagni futuri, ma per il suo benessere fisico. Per la sua vita.

Perché Carlos stesso aveva paura. MacLaglen poteva essere vivo, ma poteva essere ferito e nascondersi da qualche parte, o perfino essere moribondo. Carlos non era preoccupato per la salute di quel cabròn, ma perché la sua sparizione poteva far scoprire quella maledetta cassetta. «Voglio che lo troviate!» Si rivolse a Llosa. «Raduna qualche uomo. Abbiamo una sua foto: fa' fare delle fotocopie. Sappiamo che gli piace telefonare dagli alberghi. Andate in giro. Andate da un albergo all'altro e cercatelo.» Era rischioso, ma non poteva starsene ad aspettare che accadesse qualcosa.

Llosa annuì e tirò fuori una rivoltella. «E quando lo trovo devo...»

«No!» Non voleva che Allen, Llosa o qualsiasi altro sapesse della cassetta. «Portalo qui da me. Deve dare molte spiegazioni e i morti non possono farlo.»

 

5

 

Poppy si guardò i capelli nello specchio del bagno.

«Cresceranno di nuovo», si disse per la centesima volta da quando li aveva tagliati.

La frangetta era sparita, come pure il colore rosso vino, i capelli erano nerissimi e aderenti alle tempie. Un po' retrò e stile anni Ottanta: normalmente non si sarebbe pettinata così neanche morta, ma l'idea era di trasformarsi per salvare la pelle.

Controllò il resto della tenuta: jeans abbondanti, camicia di cotone molto grande, scarpe da ginnastica. Si era tolta gli orecchini, l'anello al sopracciglio e il bottoncino alla narice. Niente trucco, niente smalto, e nonostante tutto era improbabile che potesse passare per maschio.

Comunque Mac avrebbe dovuto guardarla molto bene, per riconoscere la Poppy Mulliner che aveva conosciuto.

Katie invece era tutta un'altra cosa. Poppy tornò nella camera e ammirò il proprio operato.

La bambina era seduta sul letto e faceva un po' di zapping. Era stata alquanto noiosa, durante la trasformazione, ma in quel momento sembrava avere dimenticato tutto. Ne era valsa la pena: sembrava davvero un ragazzino.

Un ragazzino dai capelli rossi. Poppy aveva cercato di farla bionda, ma la soluzione schiarente aveva dato come risultato un rosso scuro. Andava bene lo stesso, aveva pensato. I capelli biondi sarebbero stati più belli, ma con il taglio cortissimo, la maglietta dei Jets, i jeans e le scarpe uguali a quelli di Poppy sembrava pronta per andare all'allenamento di baseball.

Spero che funzioni, pensò. Almeno abbastanza a lungo perché tu possa metterti in salvo e io sparire.

Sorrise e batté le mani. «Ehi, fratello. Andiamo. Che cosa ne diresti di telefonare a papà?» Katie lasciò cadere il telecomando e corse all'apparecchio.

«Posso fare il numero?»

«Certo. Ma andiamo a cercare un altro telefono, va bene?»

Prima di uscire Poppy eliminò ogni traccia della loro presenza. Anche se qualcuno avesse scoperto che erano state lì non avrebbe assolutamente capito che si erano tagliate e tinte i capelli. Fermò il furgoncino dal nuovo colore rosso a una stazione di servizio, preparò una manciata di spiccioli, lasciò che Katie componesse il numero del cellulare del papà e quando lui rispose tenne il microfono tra di loro.

«Ciao, papà, sono io.»

«Katie!» esclamò una voce maschile. «Oh, grazie al cielo, sei tu! Che cos'è successo? Pensavo che saresti tornata ieri sera. Ho aspettato tanto.»

Poppy udì che la voce si incrinava e quasi si spezzava per l'emozione. Accidenti, pensò. Avrei dovuto fargli sapere che non ci sarei andata. Non l'aveva mai visto, ma dalla voce si capiva che era un brav'uomo che voleva bene alla figlia e desiderava tanto riaverla.

«Mi sono addormentata», disse Katie.

«Stai bene?»

«Certo. Abbiamo giocato a far finta e sai che cos'abbiamo fatto?»

Poppy le tolse il ricevitore. «Adesso lascia parlare me, d'accordo?»

Non si poteva sapere chi stesse ascoltando. Forse persino Mac. Paulie diceva che era un genio. Avrebbe potuto intercettare il telefono della casa di Katie, ma come fai a intercettare un cellulare? Non ci sono fili.

«Mi dispiace, per l'altra sera», cominciò. «Ho dovuto cambiare i piani, per così dire.»

«Purché Katie stia bene. Ma ha bisogno della medicina...»

«Tutto a posto», interruppe Poppy.

Una pausa all'altro capo della linea, poi: «Ma le compresse erano rimaste...»

«Non si preoccupi. Mi prendo cura di lei. Non lascerò certo che le vengano degli attacchi.»

«Posso chiederle come ha fatto a procurarsele? Voglio dire, è il dosaggio giusto?»

«Esattamente uguali a quelle del flacone. Ho dovuto rapinare un drugstore, per prenderle.»

Dopo un'altra pausa, ancora più lunga: «Ha fatto questo per Katie... Deve starle a cuore parecchio, vero?»

«Certo. È una bambina magnifica. Assolutamente magnifica. Ma perché ha quell'ammaccatura in testa?»

«Un incidente. Una frattura al cranio. È stato quello a provocare l'epilessia.» Si schiarì la gola. «Senta, posso chiederle... è intera? Voglio dire, le dita del piede...»

«Sì, le ha ancora tutte e dieci. Come ha fatto a capire che quello che ha ricevuto non era suo?»

«Un esame di laboratorio. È stata lei... voglio dire, a non volere...»

«A non volere che le facessero del male? Certo. Io e Paulie. E per questo Paulie è stato ucciso.»

«Il morto che era nella casa?»

Fu il turno di Poppy, di sentirsi un nodo alla gola. Deglutì. «Sì. Era un bravo ragazzo. È morto per proteggerla.»

«Non... non so come ringraziarvi... Non sarò mai in grado di ringraziarvi abbastanza... ma non capisco...»

«È una storia lunga e non ho tempo di raccontarla. Ma deve sapere una cosa: il tizio che ha ucciso Paulie è ancora vivo. Per questo non ho portato Katie, ieri sera. Io pensavo che fosse morto. Voglio dire, gli avevo ficcato una pallottola in testa. Gli avevo...»

«Lei?»

«Be', sì. Stava cercando di fare del male a Katie. Lei l'ha visto, quindi le dà ancora la caccia. Se gliela ridò indietro, bisogna che la faccia proteggere.»

«Oh, si fidi di me, avrà la protezione migliore del mondo. Le garantisco che appena torna a casa la sorveglieranno l'FBI, i Servizi segreti, la DEA, persino la CIA.»

Poppy si sentì rivoltare lo stomaco. Tutte quelle sigle di enti federali. E se stessero già cercando Katie? Significava che cercavano anche lei. All'improvviso desiderò porre fine alla telefonata. «Proteggeranno anche lei», udì dire il padre di Katie.

«Oh, non so. Non ho le mani del tutto pulite, in quest'affare.»

«Mi creda, se riporta indietro Katie e li aiuta si può concludere ogni genere di accordi.»

«Credo che preferirei scomparire, se non le rincresce.»

Continuò a pensare: FBI, Servizi segreti, DEA, CIA, diede un'occhiata all'orologio. Era stata al telefono troppo a lungo. Pensò in fretta. Come poteva far tornare a casa Katie? Non poteva lì, non poteva restare più a lungo nella zona di Washington. Dove poteva andare?

Poi le venne in mente.

«Bene, senta. Ecco come faremo: ci incontriamo domani ad AC e le restituisco Katie.»

«AC?»

«Atlantic City.» A Paulie piaceva il blackjack; frequentavano i casinò regolarmente. «Stasera scenda al Bally's Park Place, dando il suo vero nome, e io mi metterò in contatto. Domani riavrà indietro Katie.»

«Non possiamo organizzare qualcosa oggi?»

«Mi spiace. Dovremo farlo domani. Il Bally's, non se lo dimentichi.»

E riagganciò.

«Non me l'hai fatto salutare», protestò Katie.

«Oh, mi dispiace, tesoro. Ma sai una cosa? Domani torni da lui, di sicuro.»

Il sorriso di Katie e la luce nei suoi occhi trafissero il cuore di Poppy come spade. Non sentirai la mia mancanza? Almeno un po'?

 

6

 

Tutte le volte che Dan Keane credeva che le cose non potessero andare peggio, la situazione precipitava. Recatosi all'ultimo aggiornamento dell'unità operativa cercò di sembrare calmo mentre Decker riassumeva le informazioni più recenti. Ma non era facile.

«...e quindi sembra che l'operazione del sequestro di persona sia fallita. Se dobbiamo credere alla donna che ha telefonato a VanDuyne, i rapitori hanno avuto un litigio sul fatto di tagliare un dito del piede alla bambina. Il disaccordo ha causato la morte di Paul DiCastro e il ferimento di qualcuno chiamato Mac. Questo Mac può essere Snake oppure no. Secondo la donna ha una ferita al capo. Di conseguenza abbiamo emesso un mandato per un individuo con una ferita alla testa, ufficialmente indiziato per l'omicidio di Falls Church. Stiamo setacciando tutti i pronto soccorso in un raggio di ottanta chilometri.»

Devo telefonare a Salinas, pensò Keane. Deve cominciare anche lui a controllare da parte sua gli ospedali.

«Vogliamo quel tizio. Dobbiamo prenderlo prima che arrivi a Katie VanDuyne. Dopo potremo collegarlo al rapimento e all'omicidio. Con quei capi d'accusa contro di lui so che possiamo farlo cedere e denunciare chi l'ha incaricato di questo lavoro.»

Prese la parola Canney. «Ma prima abbiamo bisogno di avere Katie VanDuyne viva e in buone condizioni. Abbiamo rintracciato l'ultima telefonata da un apparecchio a gettoni di Edgewood, nel Maryland, ma potrebbero trovarsi in qualsiasi punto fra quello stato e Atlantic City. Se stabilissimo un posto di controllo sull'autostrada per Atlantic City e fermassimo tutti i veicoli potrebbe spaventarsi. Vogliamo indietro Katie. Naturalmente ci piacerebbe prendere anche la donna che la tiene con sé, ma ci accontenteremo di Katie. È in grado di identificare Mac. In questo momento è lei, la chiave di tutta l'operazione.»

«Giusto», assentì Decker. «Questo sarà l'ultimo nostro incontro, per un po'. Stasera Gerry e io andremo ad Atlantic City. È là che VanDuyne dovrebbe riavere Katie. Metteremo una cimice nel suo telefono e ci terremo pronti a intervenire, accertandoci che niente vada storto.

No, un momento, pensò Keane. Perché rischiare un'altra telefonata? Sono pulito. Non ho legami con loro. Lasciamo le cose come stanno. Giusto. Tutto è già andato a catafascio. Che se ne preoccupi Salinas. Per lui era giunto il momento di lavarsi le mani di tutta la faccenda. Che la ragazzina tornasse a casa dal padre, che Decker e Canney prendessero quel rapitore ferito. Non importava. Era certo che Salinas si era «isolato» dal complotto. E se quel tizio che mancava avesse rappresentato una minaccia, Salinas avrebbe provveduto a fare in modo che non avesse l'occasione di parlare. Ciò che importava era che il piano aveva funzionato. Quel pazzo di Winston era ricoverato all'Ospedale navale di Bethesda e non in viaggio verso L'Aia. Il piano di depenalizzazione si avviava verso il deragliamento. Senza di lui, non sarebbe mai più potuto tornare sui binari. E il merito era suo.

Dopo la riunione Dan si diresse subito a casa, a Georgetown. Era ancora presto, in quel pomeriggio di sole, ma aveva bisogno di bere qualcosa. E di forte. Avrebbe preferito che Carmela e i ragazzi non fossero andati in Florida, non si sentiva di stare solo quel giorno.

Mentre entrava in casa il telefono stava squillando. Si affrettò in fondo allo stretto atrio e prese la comunicazione.

«Salve, signor Keane.» Per poco Dan non si lasciò cadere su una sedia, quando riconobbe quella voce. Non riuscì a parlare.

«Pronto?» disse Carlos Salinas. «È ancora lì?»

Fa' finta di niente.

«Chi... chi parla?»

Una risata. «Lei sa molto bene chi parla. E io so chi è lei.»

Dan non parlò. Era come il suo corpo si fosse tramutato in pietra... pietra fredda.

«Non ho ricevuto sue notizie, di recente, così ho telefonato per sentire se sta bene.»

«Sto bene», riuscì a dire Dan. Era impossibile. Salinas non era in grado di risalire a lui. Si era coperto in modo totale.

«Che cosa vuole?»

«Vorrei qualche notizia. L'amigo che abbiamo perduto è irreperibile. Forse che l'ha ritrovato qualcuno?»

Fa' finta di niente!

«Non so di che cosa stia parlando.»

«Davvero? Mi dica, riconosce questa voce?»

Dan udì un clic, poi una registrazione. «Che genere di operazione disorganizzata stai facendo, Salinas? Ho appena saputo che un flacone di compresse appartenente alla bambina è stato trovato in una casa di Falls Church in cui qualcuno è stato ucciso. Che diavolo sta succedendo?»

Dan fu colto dalla nausea.

La mia voce!

L'apparecchio di distorsione non ha funzionato?

«Com'è possibile?»

«Viviamo proprio in un mondo pieno di miracoli, vero? Ciò che è nascosto può essere scoperto. Ciò che è distorto può essere messo in chiaro.» La voce di Salinas perse il tono leggero. «Adesso mi dica, señor, quali sono gli ultimi sviluppi?»

Dan provò una rabbia feroce, contro se stesso, contro quel trafficante schifoso; e cercò una via d'uscita da tutto quanto. Poteva parlare (la possibilità che il suo telefono fosse sotto controllo erano praticamente zero) ma aborriva l'idea di diventare una pedina di quell'individuo.

«Presto, señor, non abbiamo molto tempo. La cosa dovrebbe preoccupare anche lei, perché se vado in prigione io, la mia raccolta di cassette mi segue. Dov'è il nostro amico?»

Dan si accasciò. Era in trappola. «Nessuno lo sa. Si suppone che sia ferito alla testa. Lo stanno cercando in lungo e in largo. Sarà meglio che faccia in modo di trovarlo per primo.»

«E la bambina?»

«A quanto pare ha visto il nostro amico ed è in grado di identificarlo. Domani una donna la restituirà al padre ad Atlantic City.»

«Una donna... Molto interessante. Controllerò. E spero di sentirla spesso. Si ricordi, la sua libertà è legata alla mia.»

La comunicazione si interruppe. Dan rimase con il ricevitore che gli penzolava dalla mano. Dentro si sentiva come morto. L'unica cosa che si agitava in lui era la paura. Non più per il proprio paese e per la propria carriera. Ormai temeva per la libertà, per la vita. Che cos'ho mai fatto?

 

Lunedì

 

1

 

«Sei un macello», borbottò Snake mentre nella camera del motel, davanti allo specchio del bagno, si curava le ferite. «Ma sei vivo.»

Era un vero miracolo.

Ciò che era accaduto quel sabato era un ricordo confuso. Aveva la vaga sensazione di avere ripreso i sensi in quella casa vuota (Paulie era steso al suo fianco, ma non contava più) e di essersi messo in piedi a fatica, senza riuscire a vedere dall'occhio destro. Quella che rammentava meglio era la sofferenza, l'atroce sofferenza nell'occhio e nella parte destra della testa, e il sangue che gli colava lungo il collo. Aveva preso un asciugamano e se l'era legato intorno al capo.

In qualche modo aveva trovato le chiavi dell'auto. Le aveva prese, insieme alla rivoltella, ed era riuscito ad arrivare barcollando fino alla Jeep. Ce l'aveva fatta a guidare e per tutto il percorso il cercapersone aveva trillato, inviandogli fitte acutissime alla testa.

Non voleva tornare a casa, ma quella puttana gli aveva rubato portafoglio e giubbotto e aveva bisogno di contante. E molto. Conosceva un tizio nella parte nordorientale di Washington, un medico la cui licenza era stata ritirata perché gli piacevano troppo le sostanze vietate e perché aveva l'abitudine di prescriverle. Ma lui continuava a esercitare. Il suo nome era noto: ti sei beccato una ferita che non vuoi sia denunziata, va' dal dottor Möller.

Ma quello stronzo accettava solo contanti.

Il dottore aveva dato dei punti al solco irregolare che la pallottola aveva scavato nell'angolo dell'occhio destro di Snake, attraverso la tempia, fino a un punto sopra l'orecchio destro: aveva avuto molta fortuna, perché l'arteria temporale era stata solo scalfita. Aveva raddrizzato il naso fratturato, ma non aveva potuto fare niente per l'occhio. La pallottola aveva provocato un'emorragia intraoculare, il lampo della canna l'aveva bruciato ed era del tutto fuori uso. Forse un oftalmologo avrebbe potuto salvarlo, ma il dottore ne dubitava.

Come minimo un intervento avrebbe richiesto giorni interi e con ogni probabilità un ricovero in ospedale, e il dottor Möller non conosceva nessuno specialista del ramo che fosse disposto a non denunciare la ferita da arma da fuoco.

Quindi quella faccenda era chiusa.

Chiamatemi Occhiomorto.

L'emorragia era cessata, ma il dolore era continuato per un pezzo: fitte sorde all'interno del cranio, trafitture continue nel cuoio capelluto e nel naso, insieme a punture nell'orbita, saltuarie ma tremende, come provocate da frammenti di vetro. Gli antidolorifici che prendeva a raffica non riuscivano quasi per niente a lenire la pena.

Applicò dell'antibiotico a una garza e lo premette contro quell'orrore arrossato che una volta era stato il suo occhio. Poi incominciò ad avvolgersi il capo con una benda da cinque centimetri.

A un certo punto lasciò cadere il rotolo e afferrò il lavandino stringendone il bordo, mentre il bagno cominciava all'improvviso a girargli intorno. Erano due giorni che la testa gli faceva quel brutto scherzo. Il dottor Möller gli aveva detto che doveva aspettarselo: una sindrome da commozione cerebrale, o una cosa del genere. Qualunque nome avesse, metteva paura. Non voleva che gli capitasse quando stava guidando.

Ma quel giorno doveva assolutamente farlo. Doveva uscire dal quartiere e trovare un telefono. Si era fermato al primo motel che aveva incontrato dopo essere uscito dal dottor Möller, lungo Rhode Island Avenue. Doveva essere l'unico bianco in un raggio di oltre tre chilometri. Non avrebbe di certo telefonato da quella stanza. Probabilmente avrebbe dovuto andare nella zona federale, per trovare un apparecchio che funzionasse o non fosse monopolizzato da un trafficante.

La stanza smise di oscillare e lui abbandonò la stretta sul lavandino. Finì di avvolgersi la testa con la benda e contemplò il proprio operato. La fasciatura gli circondava la fronte, scendeva sull'occhio e gli copriva tutta la parte destra della testa, orecchio compreso. Non era perfetta come quella del dottore, ma sarebbe servita allo scopo.

Pensò a Poppy e l'impeto di odio e di rabbia gli attuti per un istante la sofferenza. Era tutta opera sua. Che cos'aveva pensato di fare? Di sparargli e di scappare con la bambina. Che cosa passava per quella testa matta? Quando le avesse messo le mani addosso...

Vedeva ancora il suo sguardo mentre premeva il grilletto. Era pazza, quella puttana. E c'era mancato poco che non l'uccidesse. Una fottuta cagna aveva avuto la meglio su di lui. Come diavolo era potuto succedere? Certo, quella botta in testa l'aveva stordito, comunque era una cosa di cui non avrebbe mai parlato.

E Paulie. Snake non riusciva assolutamente a immaginare che cosa gli fosse preso. Era così semplice tagliare un dito del piede del pacco e mandarlo a padre. Che bisogno c'era di farla tanto lunga, cazzo? Perché non aveva obbedito? Avrebbe potuto essere ancora vivo.

Oppure no. Perché si era messo in mezzo, quando Snake aveva voluto far fuori il pacco? Non aveva senso. Non era una cosa da Paulie.

C'era un'unica spiegazione: Poppy. Aveva soggiogato lui e probabilmente aveva stabilito una specie di rapporto materno con il pacco. Snake ricordava il modo in cui l'aveva presa in braccio quando stava per farla fuori. Sì. Doveva essere quello. E aveva trasmesso l'infezione a Paulie.

Che stupidaggine! Sì. Era tutta colpa di Poppy.

Nella stanza accanto il cercapersone squillò di nuovo. Merda, Salinas non rinunciava proprio mai?

Bene, era una faccenda che non poteva rimandare oltre. Doveva chiamarlo.

Per fortuna, le cose non sembravano poi tanto brutte. Non era probabile che Salinas sapesse ciò che era accaduto nella casa di Falls Church. I notiziari avevano parlato dell'omicidio, ma niente l'aveva collegato al rapimento. Nessuno aveva fatto il nome di Paulie e il Presidente era ancora a Bethesda, Salinas doveva esserne contento.

Snake immaginava di poterlo convincere di avere ancora la bambina e che tutto fosse sotto controllo. Potevano continuare a fare false promesse a VanDuyne mentre aspettavano che Winston morisse.

Intanto avrebbe perlustrato tutto il paese per trovare Poppy e quella marmocchia.

E quando l'avesse trovata... oh, quando l'avesse trovata... Si sarebbe lasciato andare alle fantasie più tardi. Prima doveva arrivare a un telefono.

 

2

 

Decker stava uscendo dal W-16 quando l'aveva chiamato Rasoio. L'aveva ragguagliato sugli ultimi sviluppi. «Allora adesso John è ad Atlantic City?»

«Sissignore. È sceso al Bally's ieri sera. Abbiamo messo delle spie nella sua stanza mentre era fuori a cena. Sto andando là anch'io.»

«Crede davvero di poter gestire questa faccenda da solo?»

«Sembra di sì. Non ci ha avvisati delle telefonate che ha ricevuto.»

«Be', tenetelo d'occhio. Assicuratevi che riprenda Katie senza che le sia fatto del male. E voglio che facciate in modo che accada oggi. Fatemelo sapere nell'attimo stesso in cui sarà in mani sicure. Appena mi avvisate vado via di qui. In questo ospedale sto diventando matto.»

«Sissignore», rispose Decker, cercando di assumere un tono neutro, mentre ricordava lo sguardo abbattuto di VanDuyne quando era uscito dalla Maryland House il venerdì sera. Ma doveva essere accaduto qualcosa.

«Non credere che non capisca ciò che sta passando John. E nemmeno che non sia preoccupato per Katie. Lo sono, e molto. Ma qui si tratta di cose della più grande importanza. Appena vengo a sapere che è in salvo posso comparire di nuovo in pubblico e far capire a chiunque stia dietro a questo complotto che ha fallito.»

«Sissignore. Faremo tutto il possibile.»

«E di' a John di darmi un colpo di telefono alla Casa Bianca appena torna a casa con Katie.»

«Senz'altro, signore.»

Decker riagganciò e chiamò Gerry Canney, che faceva parte della squadra di sorveglianza ad Atlantic City.

«Ancora nessun contatto, da parte della donna?»

«No. Il dottore ha solo telefonato alla madre. Ma c'è un problema.»

«Quale?»

«La moglie. L'ha seguito sin qui.»

«Avevo pensato che il tuo uomo l'avesse tagliata fuori, l'altra volta.»

«Quello aveva in mente. E la stava seguendo quando è rimasto bloccato per un incidente tra un camion e un autobus sull'autostrada a pedaggio. Lei è svicolata via e lui non è più riuscito a raggiungerla.»

«Sappiamo dove si trova?»

«Non esattamente, ma dev'essere da qualche parte vicino al Bally's. Stiamo attenti, se si fa vedere e sembra che abbia intenzione di procurare guai, la isoleremo.»

«D'accordo. Questa volta non voglio che nessun elemento metta in forse il trasferimento. E nemmeno Rasoio lo vuole.»

«Gli hai parlato?»

«Ho appena concluso la comunicazione con lui. Vuole che la faccenda sia sistemata oggi.»

«Ho capito.»

Decker riagganciò e si diresse verso la base dell'Aeronautica militare di Andrews per prendere un elicottero. Sarebbe arrivato ad Atlantic City in due ore. Il pensiero che la ex di VanDuyne andasse in giro senza sorveglianza lo preoccupava. Non erano neanche le nove del mattino e già qualcosa era andato storto. Che cosa sarebbe successo, ancora?

 

3

 

«Fammi parlare con lui.»

«Che cosa?» Una pausa. «Sei...»

Snake riconobbe la voce di Gold, ma aveva un accento strano. Teso.

«Sì, sono io. Ecco dove sono.» Cominciò a leggere il numero del telefono dell'albergo quando Gold lo interruppe.

«Un momento, fammi prendere una penna.»

Come? Gold aveva sempre una stilografica nel taschino della camicia. Mentre aspettava, Snake lanciò una rapida occhiata nell'atrio. Il movimento improvviso gli procurò un altro attacco di vertigini. Si afferrò all'apparecchio per evitare di oscillare. Non voleva che lo prendessero per ubriaco. L'avrebbero buttato fuori a calci.

L'atrio si fermò e lui vide che nessuno gli prestava attenzione. Una grossa felpa con il cappuccio alzato e il paio di occhiali da sole più grande che era riuscito a trovare nascondevano il novanta per cento della fasciatura. Eppure gli pareva di portare sul capo un'insegna al neon con la scritta lampeggiante: GUARDATEMI... GUARDATEMI...

«Va bene», disse Gold. «Adesso ce l'ho. Dammi il numero.»

Snake glielo lesse e stava per riattaccare quando Gold gli disse: «Adesso è, ehm, indisposto, quindi ci potrebbe volere un po' di più, per richiamarti. Porta pazienza».

Snake ebbe la visione di Salinas sul cesso, con i rotoli di grasso che formavano una cascata, ma scacciò quell'immagine.

«Bene. Aspetterò.» Non era entusiasta, all'idea di starsene nell'atrio dell'albergo con quella fasciatura. Alcune persone lo fissavano. Se qualcuno li avesse interrogati, si sarebbero ricordate di lui.

«E allora, ehm, dove sei stato?»

Chiacchiere inutili da parte di Gold. L'ultima cosa che desiderava.

«Impegnato. E da voi come va?»

«Be', ti abbiamo chiamato con il cercapersone per giorni interi.»

«Davvero? Forse dovrei farlo revisionare. Dev'essere troppo bassa la carica della batteria. Non ho sentito niente.»

«Sì. Sarebbe bene che la facessi controllare. Lui doveva parlare con te di questioni importanti.»

«Davvero?»

Snake premette il gancio ma continuò a tenere il ricevitore accanto all'orecchio senza fasciatura, mentre aspettava di essere richiamato.

Lui doveva parlare con te di questioni importanti.

Non gli era piaciuta affatto, quella frase. Possibile che Salinas sapesse che cos'era successo in quella casa?

Si appoggiò al fianco della cabina. Desiderava che facesse in fretta a richiamarlo. E che quelle cabine fossero muniti di sedili. Si sentiva debole, tremava, e la testa, quella maledetta testa, gli faceva un male atroce.

Avanti, grassone! Facciamola finita!

Poi l'apparecchio squillò e Snake lasciò andare il gancio. «Sì.»

Salinas: «Miguel, che piacere parlarti. Ero preoccupato per te».

Quel tono scatenò un brivido lungo la schiena di Snake. Troppo calmo, troppo cordiale. «Perché mai?»

«Non riuscivo a trovarti. Non rispondevi al cercapersone.»

«Come ho detto al tuo tirapiedi, devo sostituire la batteria.»

«Fallo, per piacere. E adesso dimmi, come va il pacco?»

«Bene.»

«Tutto sotto controllo?»

Sa qualcosa, maledizione!

«Perché me lo chiedi?»

«Perché ho sentito dire delle cose.»

Ah-ah. «Davvero?» Snake cercò di mantenere un tono leggero, ma il suo stomaco si contrasse. «Per esempio?»

«Oh, che il dottore ha parlato al telefono con il pacco, che una donna gli ha promesso di restituirglielo...»

No!

«...e che un laboratorio governativo ha scoperto che il dito del piede che doveva essere del pacco proveniva in realtà da un ragazzino, un ragazzino imbalsamato.»

Merda!

«Vediamo... che altro? Ah, che un cadavere trovato a Falls Church viene collegato al pacco e che stanno ricercando un uomo noto come Snake e uno noto come Mac, forse la stessa persona, gravemente ferito in quella casa.»

Snake aveva davvero bisogno di sedersi. Sudava e tremava, e non per la febbre. Ma anche se avesse avuto una sedia a portata di mano, non avrebbe potuto farlo. Doveva andare via di lì.

«Non riagganciare, Miguel», gli disse Salinas, e la sua voce era piena di acredine. «Non abbiamo ancora finito di parlare. E se ti guardi intorno sono sicuro che scorgerai un viso familiare.»

Snake si girò, quella volta lentamente, e soffocò la sorpresa quando scorse Llosa a meno di due metri di distanza, un sorriso sulla faccia butterata, la destra nella tasca della giacca.

Capì la causa degli indugi: Gold che cercava una penna, Salinas che era indisposto e quindi non poteva richiamare subito. Tattiche dilatorie per scoprire da dove proveniva la telefonata e dare a Llosa il tempo di trovarlo.

Che maledetto imbroglione!

Snake deglutì. «Lo vedo. Che cosa ci fa, qui?»

«Stava già cercandoti. Adesso ti accompagnerà fino a un magazzino che ho in affitto. Ci incontreremo là. Poi avremo una discussione molto approfondita, io e te. Voglio alcune risposte.»

Snake lanciò un'altra occhiata a Llosa e si accorse che non era solo. Qualcuno l'aveva raggiunto. Snake non l'aveva mai visto prima, ma dalla carnagione e dall'abbigliamento non ebbe alcun dubbio: era un altro colombiano.

«Non dimenticare le cassette», disse a Salinas. «Tienile presenti.»

«Me le ricordo benissimo. Discuteremo anche di quelle.»

Snake sapeva che genere di discussioni aveva in mente Salinas: probabilmente con ganci da carne e pungoli per il bestiame come argomenti. Avrebbe voluto conoscere l'ubicazione di tutte le cassette e lui sapeva che l'avrebbe rivelata, di tutte quante, alla prima fitta di dolore. Il pensiero di aggiungere la tortura alla sofferenza che aveva già sopportato negli ultimi due giorni lo faceva sentire ancora più debole di quanto non fosse.

Doveva pensare alla svelta, fare qualcosa per evitare la passeggiata con Llosa e il suo amico.

Un pensiero gli girava nel fondo della testa, qualcosa di brutto... parlare delle cassette gliel'aveva fatto venire in mente. Una cassetta.... il giubbotto sparito...

Poi il ricordo lo colpì, e forte, dandogli un po' di nausea. Aveva pensato che le cose si fossero messe male, ma all'improvviso erano peggiorate, e di molto.

«La ragazza ha una delle cassette», annunciò.

Salinas rimase in silenzio per un istante. «Non ti credo, Miguel.»

«È vero, lo giuro. Mi ha rubato il giubbotto mentre ero svenuto. In una tasca c'era una copia della cassetta. Adesso ce l'ha lei.»

«Allora dovremo trovarla.»

«La troverò io. La conosco da anni. La conosco meglio io dei tuoi uomini. Se qualcuno riuscirà a trovarla, quello sono io.»

Molto poco vero. Quello che sapeva di quella puttana di Poppy Mulliner era ciò che aveva sentito da Paulie, e non era granché. Quasi niente, in realtà. Ma Salinas lo ignorava.

«No me jodas! Llosa ti accompagnerà là... dove sarai al sicuro. È una misura di precauzione per la tua incolumità.»

«Senti», fece Snake, ormai furioso. Doveva assolutamente convincere quella palla di grasso. «A me interessa trovarla quanto a te. La cassetta doveva essere ascoltata solo se fossi morto. Ci sono anch'io! Se l'ascoltano rischio il culo anch'io, tanto quanto te!»

Salinas emise una lunga sfilza di imprecazioni in spagnolo. Snake riuscì a capirne ben poco, ma l'idea era chiara.

Infine esaurì la rabbia e concesse a Snake di cercare Poppy. Ma voleva che Llosa l'accompagnasse. Altre discussioni, poi lo convinse che non solo la presenza di Losa l'avrebbe rallentato, ma che sarebbe stato meglio se l'avessero cercata separatamente.

«Molto bene. Cercala per conto tuo. Ma niente scherzi, quando la trovi. Concludi la faccenda e fammelo sapere immediatamente.»

«Ti manderò la sua testa.»

«La troverai ad Atlantic City. Si metterà in contatto con il dottore oggi stesso, per restituire il pacco. Lui è sceso al Bally's Park Place.»

Come fa a saperlo? si chiese Snake, meravigliato come sempre degli informatori di Salinas.

«Parto subito.» Lanciò un'occhiata a Llosa e al suo compare, che rimanevano in speranzosa attesa. «Ma sarà meglio che tu parli al tuo amigo, qui, per fargli sapere del cambiamento.»

Salinas sospirò. «Passamelo.»

Snake sollevò il ricevitore e gridò a Llosa. «Ehi! Il capo ti vuole.»

E mentre Llosa riceveva nuovi ordini, Snake passò in rassegna ciò che sapeva di Atlantic City; cioè niente, in pratica. Non c'era mai stato. Il gioco d'azzardo era per gli stupidi.

Non importava. Sarebbe andato là quel mattino stesso e si sarebbe informato. In un modo o nell'altro avrebbe trovato quella puttana e la bambina, avrebbe ripreso la cassetta e avrebbe sistemato le ultime faccenduole in sospeso.

Poi sarebbe sparito. Al diavolo l'ultimo pagamento. Voleva andare il più lontano possibile da Carlos Salinas.

In quel momento Singapore sembrava proprio un posto adatto...

Dopo Atlantic City.

 

4

 

Marnie teneva d'occhio gli ascensori da sopra la copia omaggio di USA Today. Aveva seguito John sin lì con un'auto a nolo diversa, rossa quella volta. Aveva persino parcheggiato vicino a lui nel garage del Bally's, l'aveva seguito all'interno e l'aveva visto prendere una camera.

Era stanca, ma non aveva nessuna intenzione di mollare. Il mattino presto si era sistemata nell'atrio dell'albergo e da quel momento era stata di sentinella.

Prima o poi John avrebbe dovuto farsi vedere. E allora l'avrebbe portata fino a Katie.

Che cosa stai combinando?

Marnie era certa che la bambina non fosse a casa. Un paio di volte aveva sbirciato le finestre nell'ora di cena, e aveva visto solo John e quel maresciallo di sua madre. Doveva avere nascosto Katie da qualche parte, in un altro dei suoi crudeli tentativi di tenerle separate.

Ma se non sei qui per vedere Katie, che cosa stai combinando? Giochi d'azzardo? Che tipo di padre nasconde la figlia alla madre (Dio solo sa dove l'ha ficcata) e se ne va a gironzolare in un casinò?

E dice che io sono un cattivo genitore... e che sono pericolosa. Una bella faccia tosta!

Probabilmente era andato lì per incontrare una delle sue puttane. Non era mai riuscita a coglierlo sul fatto, ma era certa che avesse relazioni sessuali con altre donne anche prima del divorzio. Katie era al corrente di tutto, ma copriva sempre i segreti di John... non importava su che cosa. Sempre a nascondermi tutto, quei due, pensò. L'hai corrotta, John, lo so. Ma è ancora piccola. Nessun danno è permanente. La riprenderò. La salverò. La raddrizzerò.

 

5

 

Il telefono squillò alle undici e due minuti. John lo sapeva perché era rimasto seduto sul letto dalle sette e tredici, a guardare i numeri rossi dell'orologio avvicinarsi a mezzogiorno.

«Ciao, papà.»

«Katie!» John si sentì sollevare. Sembrava così vicina. All'improvviso fu certo che quella volta avrebbe funzionato. L'avrebbe riavuta con sé.

«Ciao, tesoro. Dove sei?»

«Con Poppy.»

Poppy.... era lei quella...

All'improvviso la donna prese la comunicazione. «Ehi, sarà meglio che dimentichi quello che ha appena sentito.»

«Sentito che cosa?» chiese John.

«Questo è lo spirito giusto.»

Sperava che si capissero. Se aveva salvato il dito del piede di Katie e la sua stessa vita e gliela restituiva indenne (aveva detto di aver rapinato un drugstore per assicurarle il Tegretol) avrebbe dimenticato tutto ciò che sapeva di lei. Nessun tribunale al mondo sarebbe riuscito a fargli ricordare il suo nome o la sua voce.

«Siamo pronti, oggi?»

«Sì. Scenda lungo il Boardwalk alle tre e si fermi vicino ai telefoni tra il Boardwalk Rogers e il Planet Hollywood.»

«Dove sono?»

«Poco più giù del punto in cui si trova lei. È facile riconoscere il Rogers, assomiglia a una chiesetta di ceramica. Chiamerò il primo telefono a sinistra e le farò sapere dove potrà prendere Katie.»

Le tre... sembravano lontane anni.

«Non possiamo anticipare un po'?»

«Le tre. Devo sistemare alcune faccende. Non vogliamo che qualcosa vada storto, vero?»

«D'accordo. Il primo telefono a sinistra. Alle tre. Capito. Ma ci sarò molto prima. Mi telefoni anche prima, se vuole.»

John intendeva trovarsi nei pressi di quel telefono verso le due. Non voleva che si ripetesse una scena come quella di Lafayette Square, la settimana prima. Quella volta niente discussioni su chi poteva usare l'apparecchio. L'avrebbe preso e non l'avrebbe mollato.

 

6

 

Bob Decker prese la telefonata di Canney all'apparecchio dell'auto, arrivando ad Atlantic City dall'aeroporto. Consultò l'orologio.

«Alle tre? Riesci a mandare qualcuno al telefono per sistemare...»

«È già per la strada. Ma abbiamo bisogno di più uomini, appostati lungo tutto il Boardwalk, perché farà una scena da Hollywood.»

«Che cosa vuol dire?»

«Lo sai. Come nei film. L'hai visto di certo... quando il rapitore continua a far correre una persona da un telefono all'altro. È stato fatto vedere tante volte che i rapitori veri sono arrivati a pensare che quello sia il modo in cui va fatto.»

«Questo è il mio primo sequestro di persona», osservò Decker. «Dovrò crederti sulla parola.»

«In realtà è abbastanza efficace, specialmente se anche chi chiama continua a cambiare apparecchio.»

«Quindi suppongo che l'ultimo posto in cui dobbiamo concentrare le truppe siano proprio i telefoni.»

«Hai capito bene. Ci puoi scommettere che VanDuyne verrà mandato da qualche altra parte. Ah, dalla telefonata abbiamo ricevuto un regalo: la donna si chiama Poppy.»

«Poppy... potrebbe davvero essere il suo nome, o potrebbe semplicemente essere una tossica.»

«Lo so. Ma stiamo controllando a New York, dove abitava DiCastro. Forse avremo un colpo di fortuna.»

«Bene. Per quanto riguarda gli uomini, vediamo quanti ne puoi prendere dal Bureau; io chiamerò Keane per sentire quanti ne può fornire la DEA. Credo che dovrebbero avere un discreto numero di agenti, qui ad Atlantic City, la città dei divertimenti.» Decker riagganciò e si rilassò. A quanto pareva le cose si stavano mettendo bene. Forse potevano concludere l'operazione prima delle quattro.

 

7

 

Che posto schifoso, pensò Snake, vicino a un telefono a gettone all'incrocio di New York Avenue con l'Atlantic, in attesa che Salinas richiamasse.

Non somigliava affatto all'Atlantic City che aveva visto in televisione, ma al Bronx. Non era nemmeno molto contento di trovarsi fuori della Jeep, ma l'impiego del telefono dell'auto era proibito.

Si sentiva di merda. L'emicrania non voleva abbandonarlo. Avrebbe voluto battere la testa contro il marciapiede: in un certo senso, poteva essere meglio di quel dolore acuto e incessante. E guidare era stato un puro e semplice inferno. Con un occhio solo gli mancava la profondità di percezione e aveva corso il rischio di andare a sbattere almeno una mezza dozzina di volte. Il sole era tremendamente caldo e lui sudava e sentiva prurito, sotto le bende; era tanto vivido che gli faceva dolere l'occhio distrutto anche attraverso le lenti scure e la benda.

Era intontito, nauseato, sofferente... e dentro quella maledetta felpa stava soffocando. Avrebbe voluto ammazzare qualcuno.

Un nero magrissimo gli si avvicinò, attraversando un appezzamento di terreno vuoto, e gli porse un volantino. Il suo primo istinto fu quello di allontanarlo con un cenno (non era certo interessato alla pubblicità di uno spettacolo di spogliarello o di un'agenzia di accompagnatrici) ma decise di prendere il foglio piuttosto di correre il rischio di avere qualche tossico lì vicino mentre parlava con Salinas.

Ma anche dopo che ebbe preso il foglio quel tizio rimase lì a fissargli il viso, la fasciatura.

«Che cosa guardi?» sbottò Snake.

«Niente.» Il tipo si allontanò. «Proprio niente.»

Snake appallottolò il volantino. Stava per buttarlo nel canale di scolo quando scorse la parola RICOMPENSA. Lo spiegò di nuovo e lesse dei mille dollari offerti per informazioni su due fuggitive, una diciottenne e la sua sorellina. La descrizione corrispondeva perfettamente a quella che Snake aveva fornito a Salinas quella mattina, prima di partire da Washington.

Poppy non aveva diciott'anni, ma il resto corrispondeva. Tutti coloro che l'avessero vista con quella ragazzina non si sarebbero lasciati scoraggiare dal fatto che non aveva esattamente l'aspetto di un'adolescente. Avrebbero tirato fuori una moneta per chiamare il numero indicato in fondo al foglio.

Solo mille dollari? Salinas sarebbe stato disposto a pagare un milione, per mettere le mani su Poppy e sulla bambina. Poi Snake si rese conto che il Grassone non poteva far sapere quanto fossero importanti. Era la cifra giusta per un paio di ragazze scappate da casa, e a qualcuno sarebbe servita per comprarsi un bel po' di crack.

Si chiese quanti volantini fossero in circolazione. Era probabile che ogni tossico e ogni spacciatore di Atlantic City ne avesse uno. Ce ne dovevano essere migliaia, in città, e tutti rappresentavano un profitto giornaliero, per i trafficanti. Tutti quei soldi... milioni e miliardi di dollari che affluivano da ogni parte. Non c'era da stupirsi se Salinas e i suoi capi volevano eliminare chi desiderava legalizzare il loro traffico.

Il telefono squillò. Era Salinas che si mise a parlare come una mitragliatrice. «Il dottore aspetterà una chiamata davanti al Boardwalk Rogers. Sta' certo che la consegna non avverrà in quel posto. Il suo telefono non è sicuro. Ti chiameremo subito, dopo che verrà contattato, quindi tieni il cellulare a portata di mano. Sii prudente. In giro ci sono moltissimi federali.»

E tutto finì lì. La comunicazione si interruppe.

Salinas doveva essere proprio disperato se gli diceva che lo avrebbe contattato tramite il cellulare. Ma Snake conosceva dei trucchi per eliminare la vulnerabilità di quegli apparecchi. Il più ovvio era chiamare qualcuno che si trovava a un telefono a gettoni e fargli fare una chiamata veloce ed enigmatica al cellulare.

Comunque, Snake non avrebbe perso tempo a preoccuparsi. Salinas era in gamba. Era bravo, quando si trattava della sicurezza delle comunicazioni telefoniche.

Quello che Snake voleva sapere era che cosa avrebbe dovuto fare con le informazioni che gli aveva passato Salinas, specie con la città che pullulava di federali. Se avesse avuto bisogno di un po' di assistenza? Che cosa avrebbe dovuto fare, reclutare un gruppo di tossici?

Certo.

In quel momento la cosa migliore che potesse fare era girare nella zona dei casinò e sperare nella fortuna.